La partita giocata ieri a Edimburgo è stata, parafrasando le parole di capitan Parisse, “ridicola” sotto innumerevoli punti di vista. La lacuna grave, il punto che ha permesso agli scozzesi di schiacciare il XV azzurro sotto i colpi del suo poco spettacolare gioco, è stato senza dubbi l'atteggiamento.
In questo sport in cui l'aspetto fisico si misura nel tecnicismo dei gesti, che meglio riesce in condizioni di tranquillità mentale, ciò che è mancato ieri è stata sopratutto la comunicazione: il black-out tra mischia e trequarti, il gioco macchinoso e farraginoso, l'incapacità di reagire alla foga scozzese, hanno letteralmente “segato le gambe” ai nostri eroi di azzurro vestiti.
Poco male, sconfitte di questo tipo ci stanno sempre: l'umiltà è un esercizio che va costantemente allenato perchè il rischio di perderla è sempre dietro l'angolo, sopratutto quando l'impresa dell'Olimpico contro la Francia è ancora calda, come una torta appena sfornata.
Non è questo il caso, visto che più di carenza di umiltà si può parlare di scarsa lucidità nelle scelte: ciò non toglie che una doccia scozzese come quella di sabato vada analizzata in ogni suo aspetto, esorcizzando quel mostruoso 34-10 che ci ha letteralmente portato indietro di anni, almeno un decennio a parere di chi scrive.
La Scozia ha avuto il grande merito non nelle scelte di gioco, che francamente resta quello di una squadra adolescente in rapida crescita verso l'età adulta grazie al lavoro dei coaches Johnson e Cuttitta, ma nell'imporre il proprio rugby sull'Italia, colpevole di essere stata incapace di comprendere e di reagire al gioco degli Highlanders. Questo, in un contesto in cui l'arbitro preferisce lasciar giocare molto, interrompendo sporadicamente il rugby e non ravvisando scorrettezze evidenti come gravi, non può che penalizzare la squadra che subisce la foga avversaria.
Questo non è un pretesto, bensì un'aggravante: il rugby si compone anche di intelligenza e di astuzia nel capire ed adeguarsi su come l'arbitro interpreta la partita, giocando e comportandosi di conseguenza: la disciplina blanda imposta sul campo, e la conseguente sorpresa degli Azzurri, ha reso inevitabile una disfatta aggravatasi da banali errori decisionali e da alcune scelte in mediana francamente rivedibili.
Non un brutto rugby quello giocato dall'Italia, ma un rugby francamente inconcludente, sciapo come una minestrina senza sale, che di fronte al main course dell'huggies scozzese è evidentemente capitolato. Era meglio presentarsi, restando in cucina, con una bella teglia di lasagne o, vista la multietnicità del nostro XV, con asado e patate arrosto.
Le parole di capitan Parisse a fine partita sono l'asciugamano bagnato dopo la doccia gelida, ma la freddezza e la lucidità della sua analisi rendono perfettamente l'idea del suo ruolo all'interno dello spogliatoio: “La Scozia ci ha dato una lezione, c'è stata mancanza di lucidità dall'inizio alla fine da parte nostra. Siamo stati molto timidi, probabilmente non siamo ancora una squadra sufficientemente matura. Dobbiamo crescere molto per pensare di vincere weekend dopo weekend, avevamo preparato con umiltà questa partita e chi parla di presunzione non ci conosce. C'è delusione, lavoreremo per preparare bene la partita con il Galles”. Sergio Parisse ha rincarato la dose su Twitter, grazie ad un semplice e meraviglioso pensiero: “Una sconfitta rende i 'piccoli uomini' tristi e i 'grandi uomini' motivati…adesso pensiamo al Galles”.
Una nota amara a margine della partita di Edimburgo: il pubblico scozzese ha avuto momenti migliori. Ascoltare sonori fischi quando il calciatore avversario si prepara (nel caso specifico la nostra apertura, prima Orquera e poi Burton) è sempre triste. Fischi che si sono sentiti anche a Parigi nel corso di Francia-Galles e che non fanno bene a questo sport.