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17/11/24 ore

Russia e Stato Islamico, Obama costretto a un nuovo impegno


  • Silvio Pergameno

E così Barack Obama, a malincuore e con tanti caveat, si è risolto per l’opzione, più difficile e contrastata, di un intervento militare per debellare lo stato islamico, soprattutto affidando l’operazione all’arma aerea, coadiuvata da esperti e senza intervento di truppe di terra.

 

E proprio questo appare come uno dei limiti più rilevanti della decisione, perché il controllo del territorio appare comunque indispensabile quando, soprattutto, l’avversario si presenta non con un esercito schierato per affrontare delle battaglie in campo aperto, ma come un flusso e riflusso forte di gruppi impalpabili di guerriglieri e di terroristi, che compaiono, colpiscono in azioni di guerriglia e attentati e scompaiono nel nulla.

 

È una delle lezioni da trarre dalle vicende dell’Iraq e dell’Afghanistan, che provano quanto sia discutibile la politica del disimpegno nei due fronti voluta dall’attuale Presidente degli Stati Uniti, mentre insieme si affollano le questioni di ordine politico: gli interventi dall’aria richiedono basi di partenza che in Siria non ci sono.

 

La Turchia ha già annunciato di non voler consentire l’uso delle proprie; Bashar el Assad si è detto disposto a dare una mano sulla base di accordi concordati, con l’ovvia finalità di rimettersi in gioco e di chiudere una partita che lo vede con le spalle al muro; i ribelli siriani moderati sono deboli e dovrebbero essere risistemati attraverso percorsi che richiedono tempo; i peshmerga curdi, i più affidabili, non appaiono in grado di poter far fronte alla bisogna; l’Iraq è in una situazione confusa dopo la fine del governo di Al Maliki, a causa della gestione settaria del potere calibrata sulla lotta ai sunniti, dei quali gli elementi più radicali sono passati a fornire i quadri militari per lo Stato Islamico; e contro di questo è già intervenuto nelle prime azioni di contenimento l’Iran, che intanto continua nello sforzo per produrre l’arma atomica…

 

Una situazione particolarmente complessa che gli Stati Uniti stanno cercando di affrontare mediante la creazione di una coalizione, che vorrebbero costituita da quaranta paesi: molti disponibili ce ne sono, ma le volontà di impegno non appaiono particolarmente intense e sono comunque condizionate da rapporti complessi interni ai vari stati e nel quadro delle relazioni che tra gli stessi intercorrono…

 

E poi c’è la Russia. La Russia, notoriamente in buone relazioni con il governo di Damasco, ha già fatto conoscere che, in assenza di un benestare dell’ONU, ogni intervento militare in Siria deve essere considerato illegale. E benché Ban Ki-Moon, Segretatio generale dell’ONU, abbia già espresso la sua condanna per i metodi dello Stato islamico, non si deve ignorare il fatto che la Russia dispone del diritto di veto in seno al Consiglio di Sicurezza.

 

La Russia, in altri termini, mentre si trova in condizioni difficili per gli interventi tutt’altro che legali e tutt’altro che approvati dall’ONU messi in atto con la “conquista” della Crimea, con la presenza più o meno truccata di militari nell’Ucraina del sud-est e con gli aiuti forniti ai ribelli e mentre deve affrontare il peso sempre più accentuato delle sanzioni degli occidentali (gli USA hanno adottato misure che colpiscono il campo dell’ energia, che è quello dal quale Mosca trae le maggiori entrate per l’esportazione del gas), ha chiaramente le sue carte da giocare nella crisi mediorientale, certamente verso contropartite nella situazione europea.

 

Non è da escludere che già in tempi brevi il panorama attuale sia destinato ad evolvere.

 

 


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