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05/12/25 ore

Non si difende la libera informazione con le mistificazioni


  • Luigi O. Rintallo

Da sempre la battaglia per una “democrazia informata”, che dia elementi di conoscenza ai cittadini così da rafforzarne la coscienza politica, è parte essenziale delle iniziative promosse dai radicali. Sin dagli anni ’60 il loro leader storico, Marco Pannella, denunciava il grave limite dell’Italia nel fatto che la nostra informazione veniva meno al ruolo che le sarebbe proprio, in quanto subalterna nei fatti ai condizionamenti del potere economico e politico.

 

Fra le tante occasioni in cui ciò è risultato vero, vale la pena ricordare il comportamento assunto da gran parte del giornalismo durante l’ultima campagna promossa dal Partito Radicale sui referendum della giustizia nel 2022. Pertanto, che si evidenzino i rischi che minacciano la libertà di informazione è di certo sempre cosa opportuna.

 

L’appello per difendere l’informazione libera, lanciato da un comitato interno alla RAI, promuove per il 27 giugno una manifestazione che si terrà di fronte all’auditorium del Centro di produzione RAI di Napoli. Lo fa per protestare contro i tagli, definiti “profondi e mirati”, contro i programmi di inchiesta e approfondimento, che la dirigenza RAI si appresterebbe a fare: “per volontà diretta dell’attuale governo” accusano i promotori

 

Di quanto la RAI vada considerata come la massima espressione del regime di democrazia fittizia, «Agenzia Radicale» non ha avuto mai remore a denunciarlo. Nel caso di cui si parla, tuttavia, va osservato che la situazione oggetto della protesta nasce in maniera diversa da come è descritta dal comitato interno all’azienda di Viale Mazzini. 

 

Risulta, infatti, che la RAI debba stabilizzare diversi suoi precari. A tal fine, è indetto un concorso che prevede la loro assunzione, destinandoli alle testate giornalistiche regionali bisognose di completare i loro organici. Poiché una decina di questi precari è stata utilizzata in trasmissioni di inchiesta e approfondimento, è scattata un’opposizione. 

 

Va anche detto che la dirigenza RAI, in sede di confronto col sindacato interno, avrebbe assicurato ai primi sette vincitori del concorso (guarda caso, tanti quanti sono quelli utilizzati in quel tipo di trasmissioni) la facoltà di poter scegliere loro l’assegnazione anche nelle Aree dell’approfondimento anziché nei TGR.

 

Poiché non vi è certezza assoluta di essere tra i primi sette, ecco che è scattata la protesta che si maschera lanciando l’accusa di voler privare “la collettività degli spazi più coraggiosi e scomodi del giornalismo televisivo”. Sarebbe certamente grave che si vogliano tagliare queste trasmissioni, benché ci permettiamo di esprimere qualche dubbio circa la loro estraneità al fenomeno più generale della disinformazione pilotata, come ha per esempio dimostrato il rilancio, da parte di qualcuna di esse, delle accuse contro il cardinale Becciu sulla base di illazioni rivelatesi per lo più infondate.

 

Di fatto non può che sconfortare una difesa della libertà dell’informazione, dietro la quale si riconoscono piuttosto i tratti delle derive corporative e della pretesa di garanzie extra legem, con il contorno da un lato dello sfruttamento del precariato e – dall’altro – delle consuetudini a una gestione privatistica e consociativa da parte delle forze di maggioranza e opposizione che pascolano indisturbate nelle televisione di Stato.

 

Photo posted by Dionisio Di Marzio (@muri_puliti_popoli_muti)

 

 


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