Non sono per nulla una sorpresa le parole pronunciate dal presidente dell’Associazione nazionale magistrati (Anm), Giuseppe Santalucia, all’assemblea generale dell’11 giugno.
Come di consueto, i vertici dell’organo di rappresentanza sindacale della magistratura, di fronte all’affacciarsi di qualsiasi processo riformatore volto a rimediare l’insostenibilità di un’amministrazione della giustizia all’insegna della parzialità e della controproduttività, agitano sempre lo spauracchio della minaccia per l’autonomia dei togati.
È stato così anche in questa occasione, con il presidente dell’Anm che ha polemizzato con l’ex magistrato Carlo Nordio, divenuto ministro della Giustizia, perché con l’iniziativa disciplinare per la gestione dell’estradizione del cittadino russo Artem Uss, metterebbe in pericolo “il bene collettivo” della “indipendenza dei magistrati”.
La natura tutta strumentale della polemica emerge dal fatto che si usa un provvedimento del tutto iscritto nelle prerogative costituzionali, per di più vagliato da organi interni alla magistratura stessa (CSM e Procura generale), al solo scopo di innescare un fuoco di sbarramento verso qualunque intervento riformatore propugnato dal ministro.
Difficile stabilire quale sia l’effettivo grado di rappresentatività dei vertici Anm rispetto all’insieme di tutti componenti dell’ordine giudiziario, ma è certo che da essi nel corso di questi decenni non è mai pervenuto un impulso a mutare lo stato disastroso in cui versa la giustizia in Italia, dove ai cittadini è di fatto negato un servizio fondamentale.
A questo si aggiunga che la lunga sequenza di veri e propri scandali che hanno riguardato alcuni organi giudiziari – a cominciare dal CSM per finire a varie procure nell’occhio del ciclone a causa di gravissime irregolarità procedurali – ha contribuito a minare la magistratura medesima, in quanto pilastro indispensabile per una democrazia improntata allo Stato di diritto.
Respingere pregiudizialmente le riforme che dovranno essere approvate per risolvere la principale emergenza di un Paese consistente appunto nel non poter contare su una magistratura dotata di effettiva terzietà, né tanto meno in grado di garantire giustizia in tempi adeguati, significa soltanto dar prova del reale intento reazionario insito nella difesa tutta corporativa del proprio ruolo.
Gli stessi limiti che sono stati all’origine della divaricazione tra gli organi rappresentativi della magistratura e Giovanni Falcone, contro il quale proprio molti suoi colleghi compirono un processo di delegittimazione – morale e professionale – in nome sempre della testarda salvaguardia di una condizione di privilegio incompatibile con i compiti assegnati alla magistratura dalla Costituzione.
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