Nella lettera di scuse indirizzata all’ex sindaco pd di Lodi, Simone Uggetti, che ha inviato al «Foglio», qualche maligno potrebbe scorgere i segni dell’avvedutezza e preveggenza che tanti riconoscono al talento del ministro Luigi Di Maio: ora che all’orizzonte si profilano le conclusioni delle indagini sulla gestione del governo Conte 2 dell’emergenza covid, assistiamo a una conversione in senso garantista che potrebbe giovare a limitare gli eventuali danni e a rasserenare il clima politico.
Della lettera di Di Maio qui interessa, tuttavia, rilevare come si presti a una serie di osservazioni sia per quel che riguarda la parabola del giustizialismo nel Paese, sia a proposito dell’evoluzione delle attuali fasi politiche.
Luigi Di Maio scrive che il punto centrale della questione risiede nell’utilizzo della gogna come strumento di campagna elettorale, riferendosi al fatto che subito dopo l’arresto di Uggetti si scatenò una campagna social molto dura con insinuazioni e lanci di accuse. “Con il senno di poi”, prosegue, “credo siano stati profondamente sbagliati”.
Ne fa dunque un problema di toni, troppo esacerbati, ma in questo modo contribuisce a sviare ancora una volta l’attenzione dal nocciolo vero. Va ricordato, infatti, che quelle campagne mossero dall’arresto voluto dalla procura e dunque, ad essere decisive, sono le modalità in cui avevano agito gli inquirenti.
E che sono l’eredità della grave ferita impressa allo Stato di diritto a partire dalle inchieste di Mani pulite, quando si è consentito che il carcere preventivo venisse usato come mezzo di pressione sugli imputati in totale dispregio della presunzione di non colpevolezza proclamata dalla Costituzione.
Pilatescamente Di Maio dichiara nella lettera che non è sua “intenzione entrare in un dibattito sulla magistratura”, ma così facendo toglie ogni rilevanza politica alle sue “scuse” qualunque elogio ne faccia l’ex premier Conte che gli riconosce la “virtù” di saper riconoscere gli errori.
Vi è inoltre il particolare che qui non siamo di fronte ad errori, perché l’uso spregiudicato e violento della questione morale in politica costituisce, per così dire, il carattere ideologico e fondante del Movimento 5 stelle. Di conseguenza, più che una lettera di scuse servirebbe un vero congresso di rifondazione o per lo meno un atto politico che testimoni una concreta inversione di rotta.
In questo senso occorre comprendere meglio quali siano le ricadute del pronunciamento di Di Maio sul piano delle prospettive politiche. Il superamento del giustizialismo non può, infatti, prescindere dall’impegno a riformare la giustizia in Italia.
E il primo cambiamento necessario sta nel ridare terzietà al ruolo dei magistrati, cosicché sui processi non pesi più il dubbio permanente della strumentalità politica: sia nel senso dell’uso che se ne fa appunto attraverso la “gogna mediatica”, sia – a maggior ragione – nei termini dell’esercizio abusivo di un condizionamento delle scelte politiche da parte di alcuni settori della magistratura.
Dal grado di impegno nell’affrontare i nodi irrisolti della deriva giustizialista nelle inchieste e nei processi, prima ancora che nelle campagne sui social e sui media, dipende la credibilità delle forze politiche nel prossimo futuro.
Se si vuole che il futuro possa far presagire una qualche speranza di ritorno alla civiltà giuridica, dopo decenni di barbarie dilagata in primo luogo in diversi uffici giudiziari per responsabilità di pochi.
(foto da la Repubblica)
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