Così come sarebbe forse ingeneroso interpretare le dimissioni di Nicola Zingaretti da segretario del PD un espediente per predisporsi a nuovi incarichi (candidarsi sindaco a Roma), sarebbe da ingenui accreditarle di essere la prova di una compiuta consapevolezza della crisi in cui si trova il suo partito. Crisi che non pare davvero si possa ridurre a una questione di persone, né di lotte fra correnti interne.
In realtà essa rimanda tanto alla natura di questa formazione politica, prodotto artificioso della confluenza fra gli eredi della sinistra democristiana e del Partito comunista; quanto al loro retroterra di cultura politica incapace di risolvere quella che da tempo è indicata come la “questione liberale” irrisolta (vedi i numeri di Quaderni Radicali dedicati all'argomento), dal momento che la variegata compagine di forze del PD contrasta con il modello di azione liberale, gradualista e riformatrice.
Il tracollo dei partiti di governo della Prima Repubblica, avvenuto con il loro scompaginamento per via giudiziaria con Tangentopoli, fu colto dall’opposizione post-comunista come l’occasione di proporsi come unico referente politico degli establishment interni e internazionali.
L’Ulivo dapprima e il PD poi hanno pertanto finito per identificarsi con la tela di intrecci sindacal-burocratico-corporativi, coincidente con il blocco sociale italiano i cui interessi contrastano con ogni prospettiva di riforma, che riguardi la burocrazia o la giustizia o l’economia.
È questa la vera palla al piede che ha impedito al progetto politico di un’aggregazione progressista e democratica di decollare davvero. Del PD si può in effetti dire che le sue scelte si collocano sempre sul versante opposto a quello che serve al Paese, quasi a confermare una congenita incompatibilità con la risoluzione dei problemi presenti.
Nell’ultima fase, poi, con le iniziative condotte sotto l’indirizzo di Goffredo Bettini, si è avuta una ulteriore conferma della sostanziale adesione a un processo restaurativo. In tal senso è stato significativo il convergere coi 5Stelle sulla deriva anti-parlamentare, a partire dal voto favorevole al referendum per la riduzione di deputati e senatori: giustamente è stato osservato che quella decisione rappresentava una maledizione per il futuro del PD.
Con essa ci si consegnava da un lato all’anti-politica e, dall’altro, si dava campo libero a soggetti fuori controllo e auto-referenziali delle oligarchie corporative.
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