C’è un gran gracchiare nel subalterno sistema informativo: unità, unità, unità! Può apparire paradossale: come può essere possibile che le forze politiche, istituzionali, culturali, di sinistra, di centro, di destra, in una fase così drammatica della vita nazionale, devono essere sollecitate a cercare, come sarebbe naturale e nella differenza dei ruoli, una compattezza capace di dare risposte al tragico momento del Paese da un punto di vista sanitario, economico, sociale?
Vale la pena approfondire la questione. Al di là della percepita ridotta credibilità del modo in cui questo tipo di appelli vengono lanciati e da chi vengono lanciati, forse non si vuole riflettere sul perché questo accade.
“Più guardi all'indietro, più riesci a guardare in avanti”, diceva Winston Churchill. Non è il caso di pretendere dalla nostra scalcagnata classe dirigente una capacità di visione paragonabile al premier inglese, ma forse utilizzando quella chiave di lettura potremmo venire a capo di questo poco edificante atteggiamento di tutto il nostro quadro politico, istituzionale, culturale.
Si può senz’altro affermare che siamo al centro di quattro crisi concentriche.
Una crisi mondiale, legata inevitabilmente alla pandemia generata dal Covid-19, che ha coinvolto l’intero pianeta e che fotografa - in un contesto di conoscenza non certo omogeneo, mancando da non pochi paesi dati certi, nascosti da scelte di potere - una situazione nella quale si intravedono non pochi rischi per gli equilibri economici e geo-politici del mondo. Che poi siano rimasti accantonati questi aspetti, non può non farci riflettere, in particolare considerando il ruolo della Cina.
“Diventa sempre più necessaria una prima fotografia - scrivevamo nell’aprile 2020 - di quello che è accaduto nella fase iniziale di questa pandemia. Una ricostruzione forse sommaria, ma che delinea già un quadro di responsabilità, gravissime sul piano mondiale e sugli effetti economici disastrosi legati a omissioni, falsificazioni, omertà…
È mancato da parte dell’Oms (e della Cina, che pure ha molta influenza nell’Oms…!), una allerta adeguato nella fase iniziale… Quella cinese è una civiltà piena, una realtà con un pensiero autonomo antico di cinquemila anni… Non si tratta di prefigurare un assurdo scontro frontale. Sarebbe inquietante e pericolosissimo. Ma quello che va cercato è un dialogo che non sia un atto di sottomissione a un disegno che stravolgerebbe la nostra identità e la nostra cultura. Se è l’individuo, la persona, il fulcro del nostro modello culturale e la libertà è il nostro disegno, questo non è proprio della civiltà cinese che non ha nessuna remora nel conculcare la libertà. Il modello, diverso e opposto al nostro, non è la centralità dell’individuo ma la collettività che deve conseguire un risultato anche al prezzo di sacrificare diritti e persone. È questo che vogliamo? Questo è il contesto della crisi mondiale, su cui bisogna a breve molto riflettere.
Dentro questa crisi vi è la crisi dell’Occidente.
Oggi l’Occidente ha distrattamente accolto un modello senza accorgersene. Il più simbolico esempio è aver pensato alla Cina come la fabbrica del mondo, finendo per delegare quasi in modo assoluto la produzione di beni essenziali (vedi in questo drammatico momento la rivelazione delle mascherine, dei respiratori e altro ancora…). Ma al di là dei tatticismi, emerge che non si trattava da parte cinese solo di inserirsi nel mercati, nei commerci, ma di colpire il modello di democrazia rappresentativa i cui nemici, sommariamente, possono così essere definiti: i nostalgici del comunismo, riciclati nelle forme di un odierno “dispotismo asiatico”, che ha oggi tanto le sembianze del populismo della tradizione russa, quanto quelle del “capitalismo autoritario” cinese ormai avviato a ripetere la conversione imperialista.
La seconda insidia contro le idee autenticamente liberali è ancor più difficile da contrastare, perché muove dalla post-ideologia dominante nel nostro tempo, il “politicamente corretto”. Cresciuta ha operato una deformazione delle tematiche proprie dei diritti civili. In sostanza è come se un’infezione si fosse prodotta a partire da un microrganismo sano: dalle premesse giuste sono derivati guasti che rischiano di pregiudicare la stessa salvaguardia dei principi fondanti della libertà.
L’Unione Europea è ben lontana dalla prospettiva federale prefigurata a Ventotene da Rossi e Spinelli. Questo è il terzo cerchio delle crisi concentriche: la crisi dell’Europa.
L’Europa non possiede i requisiti - almeno per ora, purtroppo - per farsi protagonista, come sarebbe necessario, di un ruolo strategico (penso alla conversione, negli scorsi anni, della Germania in senso tecnocratico e finanziario, alla sua consegna industriale e finanziaria al colosso cinese e con l’Europa ridotta alla brutta copia di un buroimpero, a cui oggi si tenta di porre rimedio con un atteggiamento che appare finalizzato - nella crisi in atto - più a recuperare i mercati europei che una visione di patria europea). In più poi appare chiaro che il disegno della Francia di svolgere un ruolo da traino per conquistare all’Europa lo spazio di potenza equidistante da Stati Uniti e Cina ha qualcosa di velleitario.
Nella strutturazione delle crisi concentriche ecco la crisi italiana che nello scenario devastante della pandemia è esplosa in tutta la sua verità e che viene accortamente occultata.
Ha radici e motivazioni antiche. La crisi italiana si muove all’interno di fenomeni disgregativi gravi, evidenti, anche perché sono stati annullati tutti i tentativi di creare luoghi di evoluzione democratica, sono state ingessate le contraddizioni e non si è consentito di risolvere, in chiave autenticamente riformatrice, tutti i processi di cambiamento che la crisi del welfare conteneva. Nessuna possibilità di sperimentazioni e evoluzione in chiave autenticamente liberale e democratica, proprio perché la classe di regime le riteneva rischiose per il mantenimento del proprio controllo eterodiretto. Fino all’attuale accelerazione di natura disgregativa.
Ripercorrere in questa sede tutte le vicende che hanno accompagnato l’iniziativa radicale di Marco Pannella, espressa nel dettaglio dalla strategia riformatrice referendaria che conteneva, nell’alveo della Costituzione, tutti i caratteri di riforma necessaria e urgente, diventa superfluo e ripetitivo. Eppure è utile sottolineare alcuni aspetti strutturali della mancanza di legalità e di rispetto delle regole e del diritto a cui si è ricorso, finendo per bruciare tutti gli elementi innovatori e democratici fino ad arrivare alla rappresentazione, che è sotto i nostri occhi, di presunti soggetti del cambiamento che non sono altro che l’estrema proiezione della perversione antidemocratica.
Quali possono essere i capisaldi in cui si è potuta mantenere ingessata la vicenda italiana? Vediamo per sommi capi. Viene subito in mente il processo formativo dell’agenda politica. Cosa si deve intendere per agenda politica? In primo luogo chi controlla le scelte? È vero che il processo di frantumazione che oggi viviamo è tale da rendere sempre più complicata la percezione delle modalità con cui si realizzano le scelte, ma è indubbio che, dopo la lunga stagione del monopolio partitocratico, giunto oggi alla sua conclusione (con la paradossale dinamica che vede la società, le istituzioni esprimere una riformulazione dei vizi partitocratici come la burocratizzazione e la presenza di oligarchie al vertice della gestione), si assiste al definitivo deflagrare dei luoghi dove la democrazia dovrebbe realizzarsi (si pensi al Parlamento oggi configurato come un ambito inutile e superfluo).
Ma si tratta di fenomeni che nascono proprio nella lunga, devastante azione di annullamento della dialettica democratica, dello Stato di diritto. Per cui abbiamo l’incredibile situazione in cui nella formulazione della restituzione ai cittadini del ruolo di soggetto decidente ci ritroviamo con la più inquietante logica della totale assenza di capacità di intervento degli stessi sui processi economici, politici, culturali.
Alla logica elitaria della omertà partitocratica si è sostituita, nella più lineare continuità, un attacco alle élite che serve a creare una cortina fumogena di invisibilità alle élite nascoste, molto spesso di natura finanziaria, che completano il loro disegno di aggressione alle soggettività politiche e alle istituzioni democratiche.
Ovviamente il controllo delle risorse finanziarie è da considerare una “risorsa” essenziale per il potere. Essa ha consentito il controllo delle organizzazioni (partiti e movimenti, associazioni pubbliche e occulte, poteri economici e finanziari di indirizzo) ...
Qui entra in campo la risorsa più micidiale di cui dispone il potere descritto: la comunicazione. Certo, così come già descritto, il controllo della comunicazione nasce all’interno del tragico disegno antiliberale e antidemocratico che ha modellato il Paese. L’abbattimento delle deontologie professionali è sicuramente l’impianto di fondo di una classe dirigente del recente passato che non solo si è autodistrutta, ma ha preparato le basi della deflagrazione del Paese, legato alla debole conoscenza, che si trasforma in ignoranza, di cui gli Italiani sono vittime. Per quest’ultima le ragioni sono molteplici, ma si può dire che pochi sembrano essere consapevoli di quanto costa l’ignoranza a cui sono sottoposti e quale meccanismo di arretratezza procura tutto ciò.
I due fenomeni si intrecciano e si sovrappongono e sono il frutto velenoso di un modello paternalistico di democrazia fittizia, che si è sviluppato, nello schema post-Jalta, sia per la struttura storico-politica, sia per la diffidenza internazionale post-fascista. Nel DNA italiano è diffusa, per il modello di welfare che si era creato, l’assenza della cultura del “chi paga”, la mancanza di spirito critico – inteso come cultura laica, empirica della responsabilità –, la indisponibilità all’azione collettiva (che ha preso poi il ritmo diffuso in non pochi casi dell’individualismo amorale) la cui conseguenza è la ridotta attitudine a tentare di risolvere i problemi.
Formare pensiero critico, approccio empirico alle cose, non certo disgiunto dai valori, sembra essere una meta irraggiungibile. Una società che ignora, che è stata abituata al ribellismo infruttuoso ed esaustivo, che non ha capacità di orientarsi nei contesti, che non dispone di conoscenza per l’individuazione delle logiche di riferimento e di come incidere su di esse (emblematico in questo è la falsificazione delle stesse battaglie di disobbedienza civile, camuffate in eventi di distrazione di massa) non può che essere marginalizzata dalle sfide che la realtà che viviamo ci impone e stimolata a tentazioni qualunquistiche.
In un sistema informativo declinato in un unico registro (con quattro-cinque network televisivi, anche di informazione, che raccontano un unico scenario, condito da contrapposizioni scenografiche ma tutte iscritte nella logica dello stesso treno che va in una sola direzione) la sfida diventa drammatica e il restringimento degli spazi di libertà sarà la tentazione di scellerati e approssimati uomini di governo.
Ed è qui che si inserisce quello che è il nostro punto di vista, di radicali di «Quaderni Radicali» e «Agenzia Radicale». L’assenza di anticorpi liberali in un tessuto come quello italiano è espresso in modo chiarissimo nella vicenda radicale.
Lo spunto iniziale nella riflessione sulla crisi della vicenda radicale degli ultimi anni, precipitata con la morte del leader storico Marco Pannella nel 2016, ha un suo riferimento essenziale intorno al ruolo e al declino di Radio Radicale.
La divisione nei due tronconi del PRNTT (Partito Radicale Nonviolento Transpartito Transnazionale) e della lista elettorale di +Europa, dove sono confluiti Emma Bonino e i Radicali italiani, non è che l’esito ultimo di un processo di marginalizzazione contrassegnato da un’oggettiva perdita di incidenza politica. Spiegarne le ragioni dovrebbe essere se non il primo, certamente uno dei principali impegni da parte di chi quella vicenda ha contribuito a costruire, ma non sembra se ne abbia piena consapevolezza.
Sviscerare gli aspetti della questione giudicando con severità anche alcune delle sue stesse scelte e individuando nello smarrimento dell’ “alterità radicale” la vera causa dell’attuale eclissi è forse determinante per capire lo stato delle cose. Per andare sul concreto, tale “smarrimento” meglio si comprende riferendosi a Radio Radicale.
Non si può non registrare la metamorfosi di un mezzo che era nato per contrastare la disinformazione e che oggi di fatto vi si omologa nei contenuti e nei metodi, lasciando così sguarniti i cittadini di una possibile reale alternativa al mainstream rifilato dai circuiti informativi convenzionali.
Essere riusciti a battere le forze che incarnavano l’assetto di potere dominante del Paese, derivava dal fatto che allora Pannella aveva collocato i radicali sulla sponda dell’alternativa al sistema sindacal-burocratico-corporativo, lanciando la sfida dei referendum liberali degli anni ottanta e del 2000.
Oggi questo strumento non esiste più. Ma vi è di più: quello che si è determinato sulla vicenda di Enrico Rufi e di Massimiliano Coccia ha dell’inquietante. È una sorta di fotografia impietosa che non solo si sono smarriti i principi fondanti su cui si è nati, ma si è preferito mettere la testa sotto la sabbia per ignorare le cose (secondo le più scandalose dinamiche di quello che Pannella definiva il Regime!).
Con una delinquenziale azione, per esempio, di millantato credito per assicurare un incontro tra il Papa e una delegazione di Radio Radicale, con Rita Bernardini, per la consegna allo stesso delle lettere e delle firme dei 19.056 detenuti (che fecero due giorni di sciopero della fame per aderire alla Marcia per l'Amnistia che il Partito Radicale organizzò in occasione del giubileo dei carcerati il 6 novembre del 2016). Ma ancor di più, per ottenere dal Pontefice una parola per tentare di salvare l’attuazione dei decreti dell’ordinamento penitenziario, che poi saltarono e che rese l’incontro, poi avvenuto molto tempo dopo e con altre dinamiche, inefficace per non far fallire proprio quella riforma. Un danno politico rilevante per chi aveva fatto della Giustizia la centralità della propria azione.
In quella fase questo signore era giunto al punto di inventare un tale don Andrea Andreani (che poi si è rivelato ineistente!) - e che diceva molto influente in Vaticano - per favorire appunto questo incontro. Un atto di puro sciacallaggio, che si è protratto nel tempo e di cui Rufi, militante radicale dagli anni settanta e giornalista della stessa Radio Radicale, aveva inutilmente informato la direzione, l’amministrazione della stessa Radio e l’editore (quest’ultimo riferibile al PRNTT).
Il più squallido silenzio caratterizzò il modo di essere di quanti si erano attribuiti l’eredità di Pannella, intellettuale e materiale, preferendo coprire un personaggio che il tempo poi aveva descritto per quello che era e che da millantatore mitomane oggi è sulle cronache delle attuali controverse, imbarazzanti questioni di “oltre Tevere”.
Una pagina tutt’altro che esaurita. Ma che illustra in modo clamoroso cosa resta dei presunti eredi e delle inadeguatezze culturali e politiche che la splendida storia di Pannella aveva lasciato. Si potrebbero ricostruire molti altri eventi che da questa triste vicenda poi si sono riprodotti, tutti connotati dalla medesima filigrana: un totale smarrimento di quella ricerca della verità che Marco Pannella e la sua iniziativa di Satyagraha gandhiano aveva insegnato come atto di coerenza, di rispetto della verità e di rispetto delle regole, nel caso da cambiare, ma da combattere se inaccettabili con la lotta politica nonviolenta, i digiuni e la crescita di consapevolezza e civiltà democratica.
«Quaderni Radicali», «Agenzia Radicale», nella loro solitaria battaglia, non intendono rassegnarsi, proprio nella stagione delle crisi concentriche, dal rinunciare al bisogno di dare forza a anticorpi liberali. Politica e economia necessitano di una sterzata in senso liberale, per quanto ciò possa apparire contrastante con certe letture d’oggi che tendono a vedere il liberalismo come la causa della crisi globale in cui ci troviamo. Molti commentatori sostengono, infatti, che il liberalismo sarebbe all’origine del turbo-capitalismo che poi ha generato la crisi finanziaria del 2008, ma così non è. Il globalismo digitale e finanziario tutto è tranne che liberale, perché ha ben poco a che vedere con un aumento delle libertà, avendo piuttosto i caratteri, così come si manifesta e si è sviluppato, di una distopia autoritaria…
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