In questa gravissima vicenda della pandemia da coronavirus, i carcerati pare proprio che ce li siamo dimenticati. I media hanno riferito circa un mese fa non tanto sulle condizioni dei carcerati, ma di agitazioni che si erano verificate in alcuni stabilimenti di pena, e poi più niente.
Forse ha prevalso quella propensione generalizzata a considerare il carcerato un soggetto di seconda categoria al quale per senso umanitario si riconosce, al più un trattamento ispirato a buona volontà. I principi costituzionali, la funzione rieducativa della pena… lasciamo perdere?.
No, non si può. Non si può, in particolare nelle condizioni di emergenza nelle quali il paese attualmente versa e proprio in relazione alle norme che sono state dettate al fine di arginare la diffusione del contagio, in particolare quella del “restare in casa”, (o meglio, come tutti diremmo, del restare “dentro”) al fine di restringere al massimo il contatto fra le persone… Tuttavia questa stessa disposizione, se viene applicata nel caso di quella speciale abitazione che e` una prigione, sortisce effetti del tutto particolari.
Le nostre carceri – è un discorso corrente - non solo versano in condizioni approssimative, ma sono sovraffollate e quindi l` obbligo di “restare in casa” diventa una causa di allargamento del contagio, allarmando i detenuti e determinando conseguenze opposte a quelle volute dalla legge
L’altra sera – in ora avanzata - papa Francesco ha celebrato la Via Crucis in occasione della Pasqua, in una piazza San Pietro vuota e misteriosa: una funzione religiosa dedicata proprio ai carcerati, nel corso della quale si è potuta ascoltare una riflessione che merita di essere ricordata: il carcere è un luogo dove può avvenire che la psiche umana si trasformi, anzi si capovolga e una persona cattiva diventi buona e una buona diventi cattiva.
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