Nulla sarà più come prima, si ripete da giorni. Tranne, intanto, il modo di agire dell'Unione Europea, che alla fine di questa tragica avventura si candida a diventare la vittima più illustre della pandemia.
Chiamati a decidere sul che fare, hic et nunc, i capi di governo europei si sono concessi altro tempo, quando invece non c'è tempo da perdere.
Ai paesi cosiddetti virtuosi, Germania e Olanda in testa, non piace l'idea di accantonare i vecchi schemi e le procedure rigide in vigore. Quelli maggiormente in sofferenza, non solo sanitaria ma anche economica, vorrebbero per contro un'azione decisa stile whatever it takes, che Mario Draghi ha in sostanza riproposto sul Financial Times, auspicando un intervento pubblico da “scenario di guerra”: praticamente una sorta di manna per l'Italia, che non vuole saperne di finire sotto il controllo della famigerata Troika come una Grecia qualsiasi.
In proposito il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, è stato perentorio: l'Italia non accetterà soluzioni normali alla crisi; in caso contrario farà da sé. Il che, al solo pensiero, ci atterrisce. Non tanto perché siamo guidati da una classe politica piccola-piccola, promotrice della decrescita felice, ma soprattutto perché da soli non si va lontani.
L'Italia è come quei soggetti fragili con due/tre, anche quattro, patologie pregresse che oggi vediamo cadere più di altri a causa del coronavirus. Per questo la “terapia intensiva” potrebbe non bastare. Occorre quindi prontezza e qualità nell'intervento. E anche se i tedeschi dovessero recedere, lasciando campo libero ai prestiti “illimitati” e incondizionati, ci vorrebbero virtù aliene: lungimiranza e sagacia nelle scelte, frutto di un'idea chiara e pratica su dove e come agire al netto dell'opera di resistenza necessaria nell'emergenza.
Finita la quarantena, se non ci faremo trovare pronti, inizierà il vero tracollo. I difetti sono noti: burocrazia, fisco, giustizia (per non parlare del decantato sistema sanitario nazionale....). Ci vuole un piano di riforme serio e attuabile quanto prima, che consenta al Paese di rilanciarsi cavalcando l'onda di crescita che monterà nel dopo. Nessuno ne parla davvero, slogan propagandistici a parte; mentre i fatti ci mostrano gli antichi vizi. I decreti sfornati in queste settimane sono una triste conferma. Volendo, anche la bizzarra epopea delle “autocertificazioni” è a suo modo emblematica.
Si fa insistentemente il nome di Mario Draghi quale presunto nuovo salvatore della patria: la carta jolly che ci resta da giocare. Per quanto capace e autorevole, e ammesso che voglia cimentarsi, difficile credere che possa poi muoversi libero dalla zavorra partitica che fino a ieri l'altro lo considerava il diavolo. Finirebbe con ogni probabilità impantanato alla prima curva nella pozza del Parlamento più modesto e irresponsabile della nostra storia. Salvo che non ottenga quei "pieni poteri" da altri richiesti su spiagge affollate, comunque poco esaltanti per la nostra già sgangherata democrazia.
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