La questione del referendum sulla modifica costituzionale che riduce il numero dei parlamentari, ancora una volta viene usata per deformare e piegare il dibattito pubblico. Dopo che sono state presentate le firme dei senatori per chiamare gli elettori a pronunciarsi nel referendum confermativo, se ne evidenziano soltanto le ricadute tattiche per i partiti di maggioranza e opposizione. Anziché il merito della riforma, la sua utilità o meno, i riflettori mediatici si concentrano sull’effetto che l’eventuale referendum potrebbe avere nello spingere verso uno scioglimento anticipato delle Camere.
In tal modo, i media – fortemente condizionati dall’omologazione agli indirizzi delle rispettive proprietà – reiterano la loro strategia di fondo, volta a delegittimare la politica, a svilirne la funzione agli occhi dei cittadini, così da lasciare campo libero alle derive demagogiche che meglio permettono alle oligarchie e agli interessi consolidati di mantenere invariato il loro controllo sociale. Del resto, la stessa riduzione del numero dei parlamentari, per come si è imposta nel confronto istituzionale e nel Paese, rappresenta un tassello del mosaico che vanno costruendo le élites finanziarie per sottrarre spazio e incisività alla democrazia partecipata.
I problemi del nostro sistema costituzionale non risiedono certo nel dato quantitativo di deputati e senatori, bensì nel loro grado di rappresentatività e di autonomia dai condizionamenti degli interessi particolaristici di apparati e corporazioni. E di certo portare i parlamentari da 945 a 600 non incide affatto sulle cause della crisi politica e istituzionale che da tempo viviamo. Non è stata altro che un’azione “distraente” dai problemi reali, che non favorisce quel “bagno di verità” richiesto dalla condizione in cui versa l’Italia e a cui si è di recente riferito in un articolo Ernesto Galli della Loggia.
Aver istruito una riforma di natura costituzionale di questo tipo, adducendo come unica motivazione la diminuzione delle spese, dà il segno di quali danni ha prodotto l’anti-politica in termini di consapevolezza delle prerogative democratiche. La demagogia alimentata in questi anni ha funzionato a agente patogeno e scardinato le difese dell’organismo democratico. Fra l’altro è significativa la reazione dei 5Stelle alla notizia che erano state depositate le firme per effettuare il referendum: il movimento che ha fatto della “democrazia diretta” una bandiera, ha per prima cosa provato fastidio che i cittadini fossero chiamati a esprimersi e, solo successivamente, hanno tentato un recupero con lo slogan “non vediamo l’ora”.
Fatto sta che le dichiarazioni dei suoi esponenti sono state tutte all’insegna della denigrazione nei confronti dei senatori firmatari, dimentichi che uguale comportamento avevano avuto i loro eletti quando sottoscrissero la richiesta di referendum sulla riforma costituzionale del 2016.
Tutte le riforme costituzionali approvate dal Parlamento sono state sottoposte a referendum confermativo. Su tre consultazioni avvenute, per due volte gli elettori hanno respinto le modifiche introdotte. A maggior ragione è necessario consultare il popolo quando la composizione delle assemblee parlamentari è il risultato di leggi elettorali che non rispecchiano fedelmente le posizioni dei cittadini, ma sono il risultato dell’opportunismo politico di maggioranze precarie.
Sarebbe bene che la campagna referendaria sia sfruttata per risollevare le ragioni di un confronto politico aperto e diffuso, così da farne un primo passaggio per fuoriuscire dalla terra bruciata provocata dalla desertificazione dell’anti-politica demagogica e incoerente.
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