La lentezza dell’erosione del consenso per la maggioranza di 5Stelle e Lega, che comincia a registrarsi nei sondaggi, si spiega con le scelte adottate nel campo politico avverso, quasi sempre all’insegna del velleitarismo o del distacco dalle reali esigenze del momento.
Altrimenti, emergerebbero con più nettezza i segni di delusione e insoddisfazione verso l’attuale governo. Proprio il comportamento dell’opposizione rappresenta la polizza assicurativa per la sopravvivenza della coalizione gialloverde.
Se consideriamo la situazione dentro lo schieramento del centro-sinistra si nota, infatti, quanto segue. La nuova gestione del PD da parte di Zingaretti, al di là delle topiche ampiamente richiamate dai titoli dei giornali, si è contraddistinta per il tentativo di creare un contenitore più largo del partito renziano.
Soltanto che questa volontà di inclusione non si cura affatto di darsi una coerenza politica: da Calenda a Speranza va bene tutto, prescindendo da una linea e da un progetto che si ispiri a un criterio di reale governo delle situazioni. Paradossalmente si rischia di compiere un salto all’indietro, che rimanda addirittura al tempo pre-Bolognina della famosa “svolta” occhettiana.
Ancora una volta, dal PD ci si rifiuta di affrontare con chiarezza la “questione liberale” della sinistra tante volte qui indicata come il discrimine decisivo per un cambiamento vero. Il che significa non fare i conti con il giustizialismo, tant’è che si rincorre la candidatura dei magistrati sul solco di quanto già accadde con Veltroni quando si preferì Di Pietro a Pannella; significa, nell’ambito delle politiche economiche, oscillare tra Landini e Cottarelli, senza dire una parola chiara circa le urgenze di un Paese che necessita in primo luogo di sburocratizzarsi e liberarsi dalle pastoie corporative.
Significa porsi sulla trincea della Europa così com’è, facendosi dominare dalla paura che un mutamento possa far saltare alleanze ed equilibri costruiti negli ultimi vent’anni, anche a livello internazionale con la dipendenza – ad esempio – della classe politica democratica dagli indirizzi francesi.
Altrettanto scoramento si ingenera guardando a ciò che accade in quella che, un tempo lontano, aveva l’ambizione di porsi come “terza forza” laica e radical-socialista. Al recente congresso del Partito socialista, conclusosi con il passaggio della segreteria da Nencini a Maraio, nel giro di pochi giorni si è assistito a una patetica pantomima, per cui prima si è puntato a far parte della “coalizione allargata” di Zingaretti e d’improvviso si è concluso un accordo con la lista +Europa, dove la componente radicale si alloca a fianco degli ex democristiani Tabacci e Sansa veri domini del cartello elettorale (disponibili ad accogliere persino Rutelli).
Una scelta priva del benché minimo respiro strategico, se mai una strategia potesse aver posto in questi residui politici. Per altro, in vista delle prossime elezioni europee, il simbolo di +Europa produrrebbe tre spicchi che andranno a collocarsi in gruppi parlamentari diversi a Strasburgo: liberali, socialisti e popolari.
In assenza di un’ispirazione che definisca i termini del cambiamento necessario in questo difficile tornante del percorso iniziato con la globalizzazione, nell’opposizione di centro-sinistra prevale insomma una pericolosa tendenza al continuismo, che è quanto di meglio potevano aspettarsi i nostrani fautori del sovranismo per proporre come un’alternativa auspicabile la loro favola illusoria.
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