Si chiamerà così il trattato per la “collaborazione rafforzata” tra Francia e Italia concordata tra Emmanuel Macron e Paolo Gentiloni nel corso del vertice dei “Paesi europei del Mediterraneo” tenutosi a Roma il 9 e 10 gennaio.
Un trattato che può essere visto in parallelo con quello tra Francia e Germania che risale al 1963, cioè oltre mezzo secolo fa, firmato da Charles De Gaulle e Konrad Adenauer, e che – stabilendo una collaborazione rafforzata e strutturata tra i due paesi in campi fondamentali della politica e dell’economia - ebbe il senso di stabilire un legame tra i due paesi che si erano affrontati in terribili conflitti nell’ultimo secolo. Ed era una premessa concreta perché si potesse continuare a pensare e a parlare di un progetto di integrazione europea.
Oggi il Trattato del Quirinale intende stabilire una cooperazione operativa tra Francia e Italia nel campo dell’economia, delle migrazioni, della difesa, della cultura… e sarà steso nel dettagli da una Commissione di sei esperti (tre per ciascuna delle parti contraenti), per essere portato alla firma presumibilmente entro la fine di quest’anno.
L’intesa con Gentiloni è stata piena e sentita. L’importanza dell’iniziativa è di tutta evidenza e rientra nella progettualità europea del Presidente francese, che ha combattuto la sua battaglia elettorale la scorsa primavera in nome dell’Europa, girando tutta la Francia e contattando decine di migliaia di soprattutto di giovani.
Macron ritiene che la Francia “è l’Europa” e se pensiamo alle origini della moderna democrazia in Europa facilmente scopriamo che la vicina Repubblica non manca di titoli in merito e che la gioventù intellettuale di duecento anni fa piantava alberi della libertà al passaggio delle truppe napoleoniche. Macron mira a procedere nel processo di integrazione europea per passi piccoli, riunendo intorno a sé i paesi che veramente condividono la necessità dell’integrazione, bypassando i tiepidi, gli incerti e i contrari e confidando di ottenere un gruppo di adesioni sufficientemente forte e soprattutto ancorato alla soluzione di problemi concreti e insolubili al livello dei singoli stati nazionali. E già la formazione del gruppo che oggi si va prospettando intorno a Francia, Germania e Italia assumerebbe un alto livello di credibilità.
La questione, ovviamente, assume grande rilevanza anche per la campagna elettorale in corso nel nostro paese e per il voto del 4 marzo. E le forze in campo commetterebbero un errore storico a non arricchire un momento di attenzione verso la politica dimenticando la centralità della battaglia per l’Europa. Basterebbe del resto che da una sola parte, favorevole o contraria, il “Trattato del Quirinale” venisse anche solo evocato, perché tutte le formazioni discese in campo sarebbero costrette a intervenire. Soprattutto andrebbe chiarito che occorre provvedere a fare quanto necessario per integrare il dibattito e la decisione politica al livello europeo e che a tale avanzamento dell’integrazione sono interessati proprio quanti hanno rimostranze da far valere nei confronti degli organismi europei…
Intanto occorre ricordare che la spinta verso l’integrazione in Europa si era andata indebolendo e la Brexit veniva interpretata come una prova. Non era così. E non è un caso che nella primavera del 2017 l’elezione di Macron abbia segnato un’inversione di rotta. La Brexit era la caduta di un ostacolo sulla strada dell’ integrazione europea, mai voluta dagli inglesi, interessati solo a un mercato comune. Non si tratta di una ripulsa verso gli inglesi, i quali hanno bisogno di tempi più lunghi per aderire all’idea di Europa: la democrazia nel continente è nata a Parigi nel 1789 ed è sfociata in una costituzione garante delle libertà. Gli inglesi ci hanno messo secoli di progressive conquiste di libertà, a partire dalla Magna Charta del 1215 e poi attraverso cento episodi ognuno con la sua storia scritta nella coscienza popolare. Anche i francesi ancora nel 2005 hanno respinto la costituzione europea… ma oggi infine il lepenismo è stato battuto in nome dell’Europa...
E ora torniamo, concludendo, a noi. Sarebbe veramente deprecabile se nel nostro paese venisse l’occasione delle prossime elezioni per indicare finalmente il criterio sul quale – va sottolineato - si può definire ex novo la distinzione fra sinistra e destra, che tutti danno ormai per esaurita. Se per sinistra si intende avanzamento nella democrazia e nelle libertà, è la strada europea che oggi si rivela come l’unica obbiettivamente credibile per perseguire l’obbiettivo.
Con una precisazione: l’Europa è anche oggi l’unica dimensione politica capace di ridare nuova vita e nuovo senso all’idea di nazione, rimasta progressivamente vittima negli ultimi 150 anni della dimensione statuale, nella quale si era richiusa e nella quale erano annidate tutte le ambizioni e le perversioni del vecchio assolutismo delle monarchie dell’epoca moderna.
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