Antonio Di Pietro la scorsa settimana – in sordina – l'ha sparata grossa, ammettendo di aver “fatto - pagandone le conseguenze - una politica sulla paura (…) La paura delle manette, la paura del, diciamo così, sono tutti criminali, la paura che chi non la pensa come me sia un delinquente”. Non è stato il solo, bisogna però dire. A pagarne le conseguenze, intendiamo.
Da Mani Pulite prese infatti forma un “metodo” che ci siamo portati con varie articolazioni fino ai giorni nostri. Tant'è che ogni tanto spunta un frutto marcio. Come la fresca assoluzione di Clemente Mastella, a nove anni dai fatti che ebbero come strascico immediato la caduta di un governo Prodi. Si chiude così, con i consueti tempi biblici della nostra mala-giustizia, una vicenda che costituisce a suo modo una piccola summa delle perversioni causate dal corto circuito politico-giudiziario di cui è preda il Paese dall'ormai lontano 1993.
Le ricostruzioni agiografiche, che si fanno negli anniversari di quel periodo, confermano che la storia la fanno sempre i vincitori. Uno di questi, l'ex Tonino nazionale, una volta passato dalla parte dei perdenti, ha però iniziato a riordinare le idee, perché – dice - “oggi come oggi, avviandomi verso la terza età, mi rendo conto che bisogna rispettare le idee degli altri”.
Di quella stagione Di Pietro ha detto di portare con sé una conseguenza: “con Mani Pulite si è distrutto tutto ciò (non proprio tutto, eh... ndr) che era la cosiddetta Prima Repubblica: il male, e ce n’era tanto con la corruzione, ma anche le idee, perché sono nati i cosiddetti partiti personali...”, ma anche – aggiungiamo – i magistrati che fanno politica, l'uso politico delle inchieste, l'anti-politica... fino ad arrivare al movimento di incompetenti spregiudicati guidati da un ex comico e una società privata di Milano, che lo stesso fondatore di Italia dei Valori ben conosce essendone stato il testimonial prima di essere sostituito da Grillo...
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