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17/11/24 ore

I 5 Stelle, la politica, i partiti


  • Silvio Pergameno

La vicenda romana del movimento ”5 Stelle”, come ampiamente illustrata dal direttore di A.R.Giuseppe Rippa nella conversazione con Antonio Marulo, apre a mio avviso un discorso molto più ampio e tutto da fare. Perché si tratta di un Movimento dai contorni indefiniti e le cui debolezze e incertezze interne rappresentano per ora l’unica carta che gli avversari giocano nei suoi confronti. Una carta sicura, poi? Perché non basta dire che sbagliano tutto e litigano tra loro come tutti gli altri. Anche se è vero.

 

Il discorso sui “5 Stelle” è (o forse – meglio – dovrebbe essere) quello sulla condizione politica dell’Italia in questo tempo incerto (e non soltanto per l’Italia). Perché oggi si discute molto sul prossimo referendum istituzionale, che prevede l’abolizione del bicameralismo (in linea di massima), un nuovo Senato (legato alle autonomie locali) e l’abolizione delle competenze miste (rectius “concorrenti”) tra stato e regioni, in vista di una maggiore governabilità, ma il problema di fondo è quello della necessità che in qualche modo e in qualche sede venga impostato  un dibattito sulla situazione attuale delle forze politiche in Italia.     

 

Certo, l’ennesimo fallimento – dopo oltre trent’anni di tentativi finiti nel nulla - di una riforma costituzionale, non esaustiva ma che non manca di rilievo, sarebbe un pessimo indizio nel quadro nazionale e comporterebbe conseguenze a quello europeo, intrecciate con la vicenda dei singoli paesi dell’Unione. Ma alle spalle del referendum - ormai fissato per dicembre – resta il fatto che dopo Manipulite e il crollo del vecchio sistema dei partiti è mancata in Italia una discussione sulle conseguenze di questo crollo,  nel quale, anche il vecchio PCI è rimasto coinvolto. Il PD che rimane, comunque, oggi in Italia l’unico partito che ha alle spalle un passato e nel qual militano esponenti che hanno iniziato la loro carriera politica ben nel fondo della prima Repubblica. E nel quale sono stretti nodi i cui fili hanno inizi ben legati a quei tempi. Ma che un discorso di fondo non lo ha fatto. Come non lo hanno fato né Berlusconi, né Grillo, né Monti, né Casini….

 

E quanto al PD le novità non mancano, ma gli effetti sono stati limitati. Si è visto sì un avanzamento sul terreno dei diritti civili (non è stato come ai tempi della legge sul divorzio, dove questa riforma - caldeggiata dal PSI - non andava mai avanti perché il PCI non poteva litigare con la DC), ma non c’è stata la fondazione di una forza politica veramente nuova, sulla base di un costruttiva critica del passato e di un’apertura (problematica, certamente) sui problemi attuali a livello nazionale ed europeo. E ancora oggi la discussione interna, e le…liti,  appaiono animate più da residui del passato che da propositi per l’avvenire.

 

Lo indica del resto proprio l’aver designato come “socialdemocratica” la scelta effettuata dal PD all’atto della fondazione, quasi un ripiego, perché non ha certo oggi un senso insistere nel contrapporre una scelta tra massimalisti e minimalisti e riformisti, tra miglioristi e … peggioristi(?) tra Lenin e il  ”rinnegato Kautski” e come se le socialdemocrazie europee non fossero afflitte da mille problemi e da un quadro di stati sociali realizzati, che nella migliore delle ipotesi, rivestono quei panni scandinavi che denotano introversioni e profonde chiusure di orizzonti o da una socialdemocrazia tedesca che con la sua “Politica orientale” ha finito con il creare un forte legame e una forte dipendenza della stessa Germania dalla nuova Russia (nuova fino a un certo punto…), che ora in mano i rubinetti delle fonti energetiche più importanti per tutta l’Europa. 

 

Sulle scelte effettuate il PD non ha provocato un dibattito nazionale nel quale il paese si sia sentito coinvolto, costringendo anche la destra a una riflessione più profonda,un dibattito  la cui mancanza si è rivelata come il limite maggiore della stessa avventura del Cavaliere, il quale un domani potrebbe forse avere in mano la carta “Putin” (cioè quella dell’Europa divisa per sempre, con i singoli stati sostenuti dai “regali” del colosso dell’est).

 

Ecco allora i “5 Stelle” e il discorso sul movimento di Beppe Grillo, che ora come ora appare esposto a tutte le possibili evoluzioni, ivi compresa quella di trovare un “capo” deciso a capeggiare, per l’appunto, tutti i risentimenti nazionali stile Viktor Orbàn o Jaroslav Kaczinski. Almeno all’inizio.

 

 


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