Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

24/12/24 ore

Scuola, il sabotaggio della didattica


  • Luigi O. Rintallo

Sulla stampa hanno avuto un qualche risalto i risultati finali degli esami di Stato. In particolare l'attenzione si è concentrata sull'alta percentuale di voti elevati e anche con lode che si è avuta negli istituti del centro-sud. Il fatto ha suscitato risentite osservazioni, ad esempio, da parte del presidente del Veneto che ha lamentato come ciò finisca per danneggiare gli studenti settentrionali quando affronteranno i test pre universitari. Inoltre non sono mancati dubbi e allusive minacce da parte del ministro Giannini, la quale ha affermato che sarà fatto un attento monitoraggio sul comportamento dei docenti qualora emergessero anomalie nei processi di valutazione.

 

È singolare come quasi nessuno si sia invece soffermato su un dato che, per chi nella scuola lavora, è essenziale per comprendere il fenomeno registrato in queste settimane. Già da qualche anno le classi delle superiori hanno visto aumentare al loro interno il numero degli alunni che necessitano di una didattica speciale. Ci riferiamo ai DSA (disturbi specifici dell'apprendimento) cui più recentemente si sono aggiunti i BES (bisogni educativi speciali): le due sigle sono il prodotto di un'attività legislativa che rientra a pieno titolo fra le buone intenzioni di cui è lastricata la strada dell'inferno. Che, nel caso della scuola, assume le fattezze del sabotaggio dell'attività didattica e del conseguente venir meno dei criteri che la dovrebbero distinguere: formazione e riconoscimento dei meriti.

 

A differenza che negli altri paesi, l'Italia è l'unico ad aver affrontato il problema degli studenti con handicap semplicemente inserendoli all'interno delle classi, fornendo loro un sostegno spesso parziale e di limitata efficacia. Se inizialmente ciò aveva riguardato persone con disabilita' conclamate (ragazzi down, portatori di invalidità fisiche o mentali), in seguito il processo di medicalizzazione in atto ha esteso enormemente la platea di questo tipo di problematiche senza che le scuole fossero poi messe in condizione di gestirle, sia per le risorse ridotte che perfino per l'assenza di spazi idonei.

 

A questo si aggiunga che, nel tempo, è andato sempre più allargandosi l'elastico che definisce la condizione dell'alunno che richiede un intervento diverso dal consueto, comprendendovi anche i disturbi caratteriali (per lo più tipici dell'adolescenza) o condizioni molto diffuse (dai disagi dei figli con genitori in lite a generiche manifestazioni di disadattamento alla vita sociale). Per tutti costoro le scuole hanno adottato percorsi di studio con obiettivi didattici limitati o mirati, che tuttavia in generale non si concludono con un titolo di studio finale di natura diversa dagli altri.

 

Succede allora che un alunno DSA o BES possa trovarsi a svolgere attività di studio obiettivamente facilitate dentro una classe e giungere al termine del ciclo conseguendo infine lo stesso diploma degli altri suoi compagni. Chiaramente una situazione del genere ha finito anche per favorire comportamenti scorretti, laddove si sono ottenute certificazioni che servivano soltanto a mascherare negligenze o pigrizia, tant'è che non sono mancate le famiglie che a fronte di risultati scolastici deludenti hanno scelto di rivolgersi alla Asl piuttosto che persuadere il figlio dell'utilità di una buona preparazione. Tanto alla fine il famoso pezzo di carta sarebbe stato ottenuto.

 

Sarebbe dunque opportuno leggere i risultati degli esami di Stato anche alla luce di queste conseguenze determinate da una legislazione influenzata da un meanstream di natura più demagogica che progressista. Il monitoraggio andrebbe fatto allora sulla distribuzione territoriale delle percentuali di DSA e BES, su come essa incida sulla gradazione delle tabelle di valutazione degli studenti e, infine, sulla sua effettiva corrispondenza a situazioni di fatto. Tenendo anche conto degli interessi in gioco, dove un ruolo non da poco è rivestito da quelli tutti corporativi del personale pubblico coinvolto. Una indagine attenta di questo tipo potrebbe dare interessanti e utili informazioni sullo stato della scuola italiana.

 

 


Aggiungi commento