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18/11/24 ore

Morto un referendum… se ne fa un altro


  • Silvio Pergameno

Morto un referendum… se ne fa un altro”, potremmo dire adattando ai tempi che corrono un diffuso detto popolare…un altro referendum in ottobre che comunque potrebbe essere un bis di quello di aprile, nel senso che l’oggetto del contendere sarà rappresentato non tanto dalla legge sottoposta al voto quanto…. dal premier Renzi… a ben vedere a tutto vantaggio del medesimo, che infatti non sembra affatto disdegnare un’investitura uscita dalle urne, anche se formulata alla rovescia, con riferimento a un eventuale abbandono della battaglia.

 

Del resto sono corali ormai le più o meno (sotto sotto godute?) constatazioni del fatto che non valgono più i “progammi politici”, non si avvertono più differenze tra destra e sinistra, e la politica si è completamente personalizzata.

 

Occorre però fare attenzione a non spingere troppo avanti il paragone, perché poi i due referendum, quello di aprile e quello di ottobre, non sono affatto della stessa natura, perché uno serve per abrogare una legge ordinaria o una sua parte (afrt.75 della costituzione) mentre per l’altro si può dire solo che l’indizione del referendum blocca la promulgazione della legge: “La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.” (art. 138 cost., comma 2°). Indubbiamente si tratta di una formulazione quantomeno incompleta e anche contraddittoria . Ma comunque se i “si” superano i “no” la legge viene promulgata e entra in vigore, altrimenti non viene promulgata e resta in  una sorta di limbo.

 

Se il voto popolare serve per l’approvazione e questa non c’è la conclusione dovrebbe essere che la legge non è stata approvata, cioè non è mai diventata veramente legge ed è rimasta allo stato di progetto di legge.

 

Ma intanto nella fattispecie un professore universitario e due esponenti radicali hanno già aperto le ostilità muovendo critiche al testo del quesito sul quale si dovrà dire “sì” o “no”, perché chiede ai votanti se approvano il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento delle spese per le istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione delle norme su regioni, province e comuni. Si tratterebbe cioè secondo questi critici di un gruppo di innovazioni diverse tra loro e l’elettore potrebbe essere favorevole ad alcuni cambiamenti e contrario ad altri e non può esser costretto a un prendere o lasciare, trasformandosi poi il referendum in un plebiscito; sarebbe stato invece necessario formulare singoli quesiti (Corriere della Sera del 17 aprile u.s.).

 

Ora, chi scrive è ben consapevole del problema, perché quando con il partito radicale proponemmo gli otto referendum nella seconda metà degli anni settanta, diversi di essi furono bocciati dalla Corte costituzionale, proprio perché alcuni di essi riguardavano l’abrogazione di leggi che contenevano molte disposizioni di contenuto diverso e l’elettore poteva volere l’abrogazione di alcune di esse e di altre no. Ma si trattava allora di referendum abrogativi.

 

Nel presente caso, comunque, quel che appare certo infatti è che il legislatore costituente, quale che sia la natura del referendum costituzionale e quale che sia la fine del progetto di modifica della costituzione se nel referendum prevalgono i ”no”, ha chiesto un giudizio complessivo sull’intera legge  soprattutto non ha inteso introdurre un nuovo metodo di fare le leggi, derogando alle procedure stabilite. L’art.138 lascia ben intendere che quando in Parlamento la maggioranza è stata forte il suo operato non può essere messo in discussione, anche perché i deputati e i senatori rappresentano il paese.

 

Nel caso invece di una maggioranza già rafforzata (maggioranza dei componenti di ciascuna assemblea parlamentare e non semplice) ma non fino ai due terzi, il costituente ha voluto riservare un ulteriore giudizio al popolo, che non può essere ritenuto della stessa natura di quello dei deputati e dei senatori, facendo cioè dei cittadini un organo legislativo, ma un giudizio politico sulla riforma nel suo complesso e, ovviamente, tenendo conto di motivazioni di carattere generale.

 

Per di più il voto dei deputati e dei senatori non può avere un valore diverso a causa di un evento futuro e incerto come il referendum costituzionale.

 

 


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