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18/11/24 ore

Femminismo 2.0, il festival dell’ipocrisia politically correct



di Ludovica Passeri

 

“Ora si dirà che sono maschilista”. La ferita è ancora aperta per Guido Bertolaso, il traballante candidato sindaco di Roma che sembra non avere troppa fortuna in fatto di interviste e dichiarazioni. Dalle gaffe sinistrorse al paternalismo del suo “Giorgia Meloni deve fare la mamma”. Nel commentare le “imbarazzanti” lacrime di Federica Mogherini all’indomani degli attentati di Bruxelles non ci ha pensato due volte a prendere le opportune precauzioni, a scanso di equivoci e di una seconda temutissima ondata di accuse di sessismo.

 

La leader di Fratelli D’Italia, d’altra parte, ha saputo sapientemente ricamare sulla sua caduta di stile. Nei giorni scorsi, con un abilissimo carpiato, è scesa in campo non soltanto per riportare nella Capitale legalità e trasparenza, ma in nome di una nobilissima causa, quella di tutte le donne italiane. Madri, lavoratrici, vessate. Peccato che, a dirla tutta, l’uomo di Berlusconi intervistato a Fuori Onda si sia limitato a ripetere pedissequamente quanto già ampiamente dichiarato dalla sua ex sostenitrice. Che si sarebbe candidata a sindaco di Roma solo e soltanto se costretta, in “extrema ratio”, e che avrebbe decisamente preferito godersi in tranquillità la sua gravidanza non è mai stato un segreto.

 

Insomma, nulla di nuovo nelle parole pronunciate da Bertolaso incalzato da Labate e Parenzo, a parte la presunzione di dispensare un consiglio non richiesto e l’intonazione perentoria di chi sta sbrigativamente liquidando una potenziale competitor. Il caso, però, è scoppiato lo stesso. Fiumi di inchiostro versati in difesa della specie protetta, cinguettii assordanti di ministre e deputate indignate e lo strascico di noiosissimi interventi da rotocalco sulla vicenda privata e poco politicamente appassionante di un’inedita Giorgia in dolce attesa.

 

Il siparietto sceneggiato a suon di “viva la mamma” e di richiami mitologici a lupe che allattano è stato naturalmente fatto passare come un’ottima occasione per mettere finalmente al centro la questione femminile, il binomio maternità e lavoro, i diritti violati delle donne. In altre parole, per avanzare quelle sacrosante rivendicazioni che trovano un posticino nel dibattito e nei talk show solo e soltanto dopo l’inciampo del maldestro politico di turno.

 

Riflettori accesi che durano il tempo di una campagna elettorale o, come accaduto solo qualche mese fa con il caso Mineo, giusto quei pochi giorni sufficienti a mettere al tappeto il dissidente politico del momento. Stando alla dichiarazione affidata ad una lunga nota dall’ex direttore di Rainews, Renzi sarebbe stato subalterno ad una donna “bella e decisa”. Continua a non stupire che, come da copione, la polemica innescata da quell’infelice uscita abbia, a suo tempo, preso la piega “di protocollo”. Al punto che, a conti fatti, la vera notizia non fu la presunta subordinazione del Premier ad una “femme fatale” chiamata Maria Elena Boschi, né il succoso benché infondato gossip istituzionale e meno che mai la comprovata incapacità di Mineo di tenere la lingua a freno – il senatore dimostrò per l’ennesima volta di non sapersi districare neppure dignitosamente dai botta e risposta di rito.

 

Il dato più preoccupante di tutta la vicenda emerse da quella deviante distorsione per cui la sola allusione alla subalternità politica nei confronti di una donna avvenente venne bollata all’istante come dichiarazione maschilista, condimento sessista di un attacco personale. Il meglio del repertorio boldriniano fu efficacemente sfoderato per l’occasione servita su un piatto d’argento dal senatore ex Pd, reo di aver fatto uso di un mix letale di sostantivi e aggettivi.

 

L’inconsistenza delle accuse sessiste avanzate non fermò certo i paladini del “femminismo istituzionale”, barricadieri quando si tratta di “questione grammaticale” ed esperti in caccia all’insinuazione maschilista. Ma, del resto, dall’ “allusivo” al misogino il passo è breve. “Per lui il termine donna deve suonare come una disgrazia” tuonò Francesca Puglisi. Ci fu persino chi volle ricordare ai più distratti che esiste la parità tra sessi. “Dove è finito il progressista?” si chiese qualche altro acuto osservatore.

 

Insomma, il festival del perbenismo intellettuale “a tutti i costi” non è certo una novità. Si può dire, senza esagerazioni, che sia un appuntamento periodico del dibattito di casa nostra, al quale partecipano eminenti politici e analisti. C’è sempre qualcuno che nella foga di esserci smarrisce puntualmente credibilità e onestà intellettuale. Roba da femminismo 2.0: l’arma di distruzione politica dell’avversario impunito, che si ritrova improvvisamente a fare i conti con la qualifica infamante di maschilista sovversivo. Forse non aveva proprio tutti i torti Mineo quando, “tra una gaffe e l’altra”, metteva in guardia dalla macchina del fango del “politicamente corretto” e denunciava il “degrado” in cui versa il confronto politico e mediatico del nostro paese.

 

A distanza di pochi mesi il panorama è ancora più avvilente. Simile la sceneggiatura, fatte le dovute eccezioni, e pressoché le stesse comparse in campo. I soliti irriducibili presenzialisti che intervengono con un tweet o magari con una di quelle dichiarazione ad effetto già confezionate, pronte per essere spiattellate a riprova della propria spiccata sensibilità civile. La strumentalizzazione bieca della dolorosa questione delle discriminazioni di genere per accaparrarsi la leadership del centrodestra non sarà certo annoverata tra le battaglie di civiltà dell’Italia del terzo millennio. Delle manifestazioni di solidarietà di ministre puerpere, che dell’alto dei loro dicasteri saltano a piè pari astensioni obbligatorie e congedi in nome di una libertà di scelta a cui non possono appellarsi le donne “normali”, non resterà che un fastidioso ricordo.

 

Che si parli pure di donne, di maternità negata, di ingiustizie perpetrate, del sessismo dilagante, ma che lo si faccia senza ipocrisie, sgomberando il campo da sanguinose faide di partito, da patetici psicodrammi di schieramento, da agguerriti spin doctor e da infantili beghe personali.

 

 


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