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17/11/24 ore

Kerry e Lavrov...


  • Silvio Pergameno

I Ministri degli esteri degli Stati Uniti e della Russia hanno concordato una tregua sulla guerra in Siria che per il primo dei due doveva essere immediata e per il  secondo decorrere dal 1° marzo, raggiungendo poi un’accordo su per giù a metà strada e convenendo che da subito si sarebbe dato il via a interventi umantari per le popolazioni civili che stanno vivendo una tragedia indescrivibile, della quale i fortunosi sbarchi in Europa dei profughi rappresentano l’ultimo sviluppo. Per ora le operazioni militari quindi continuano e continuano le stragi di civili.

 

Si tratta di uno spiraglio di luce, non più di tanto, soprattutto se si tiene conto della complessità della situazione, dell’esistenza in  Siria di almeno due gruppi principali di oppositori a Bashar al Assad: la formazione di al Nusra, che si è staccata anni fa da al Qaeda e che combatte anche contro lo Stato islamico, e l’Esercito Siriano Libero, formato da militari che hanno abbandonato l’Esercito regolare e acquistato sempre maggiore consistenza.

 

Questi due gruppi sono stati colpiti dai russi, ansiosi di costruirsi una posizione forte nella zona con il loro intervento militare in Siria, diretto a restaurare il potere di un Bashar al Assad che si reggerebbe solo sulla loro protezione e che invece gli occidentali avversano. Bashar appartiene alla confessione religiosa musulmana degli alaviti, che conta circa due milioni e mezzo di seguaci ed è sostenuto dagli sciiti dell’Iran, laddove il grosso della popolazione siriana è sunnita (sedici milioni) su un totale di ventidue milioni.

 

Contro lo stato islamico combattono poi – e con tanto di stivali nel fango -  i curdi, peraltro repressi e attaccati dalla Turchia, membro della NATO e in una posizione sempre più ambigua (i curdi sono un popolo diviso tra Turchia, Iraq, Iran, Siria e anche Armenia, e con forti aspirazioni nazionali). Tutto questo tenendo ben presente la contrapposizione tra stati sciiti e stati sunniti, tra i quali ultimi la Turchia è già fortemente coinvolta in Siria e ospita tre milioni di profughi siriani, mentre l’Arabia Saudita ha in mente di mandare truppe nelle zone del conflitto, ma con quale ruolo? La NATO infine pare dovrebbe intervenire, soprattutto nel mar Egeo, per bloccare il traffico degli scafisti.

 

In questo intricato groviglio il ruolo degli europei appare confinato nell’ambito di decisioni (subordinate) dei singoli stati senza alcuna presenza significativa dell’Unione nel suo complesso.

 

Anche, e anzi soprattutto, nell’ambito della politica estera le carenze dell’Unione sono macroscopiche, nonostante il composito conflitto in Medio Oriente riveli ancora una volta come sia proprio nel campo dei rapporti internazionali che maturano i fatti più pesanti e rischiosi per la vita delle nazioni e per la stessa sopravvivenza della gente comune, per la quale poi non sembra esista in Europa un’attenzione particolare e che sembra venire in rilievo solo quando – per sfuggire al massacro – minaccia il nostro quieto vivere.

 

 Ci ritroviamo cioè a esser costretti a tornare sempre sul solito discorso: ma, … repetita iuvant

 

 


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