La guerra che infuria tra il Mediterraneo e la Mesopotamia con il doppio binario che la connota (la rivolta interna contro il regime di Bashar al Assad e l’attacco contro l’ISIS), e con le composite e confliggenti componenti che si scontrano sul terreno e al livello dei rapporti internazionali; il pesante attacco terroristico del 13 novembre a Parigi; la marea di profughi che giungono in Europa; le incertezze di una stentata ripresa economica… costituiscono una carica esplosiva che sta minando alla base la debole, confusa e sempre periclitante costruzione che va sotto il nome di Unione Europea. E le iniziative e modalità con le quali i paesi dell’Unione Europea si arrabattano a tamponare le susseguentesi emergenze ne rappresentano la prova più evidente.
La frequenza con la quale paesi dell’Unione rirpristinano controlli ai confini (sia pur non definitivi) denotano come l’essenza dei problemi sia del tutto assente dalle analisi politiche e i momenti in cui esplodono momenti di crisi vengano affrontati con modesti interventi, gli unici che i singoli stati riescono ad adottare.
Gli ultimi, in questi giorni, sono quelli della Svezia sul ponte che la collega alla Danimarca e di quest’ultimo paese lungo il confine meridionale con la Germania. Non si tratta di fare delle facili polemichette. La Svezia è un paese all’avanguardia nella propria democrazia e nella costruzione dello stato sociale; è il paese europeo che, in rapporto alla popolazione, ha accolto la maggior percentuale di immigrati, assicurando loro una condizione sociale paritaria con i propri cittadini. Ma è anche il paese che è riuscito a tenersi fuori dai conflitti e oggi è fuori dall’euro, con una visione chiaramente introversa del proprio destino, volta a una sorta di perfezionismo al proprio interno. Saremmo tentati di dire, all’opposto del nostro Paese, che della vicenda del Novecento europeo è stato tra i protagonisti, avendo risposto alla crisi della democrazia nella prima metà del secolo nella maniera più drastica e sbagliata, ma anche avendo dato nel secondo dopoguerra una delle maggiori spinte al tentativo di dare al vecchio continente una dimensione nuova e garante sostanziale degli ordinamenti della libertà.
Non occorre ricordare – nella diversità dei ruoli - le figure di Altiero Spinelli e di Alcide De Gasperi. Oggi stampa e media rilevano concordemente la crisi nella quale è entrato l’accordo c.d. di “Schengen” sulla libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione, accordo che richiese undici anni di incontri e trattativetra i paesi dell’Unione (dal 1985 al 1996); non hanno aderito la Gran Bretagna e l’Irlanda, mentre si sono associati quattro stati europei fuori dell’Unione: Svizzera, Norvegia, Islanda e il piccolisisimo principato del Liecternstein.
Il trattato prevede la possibilità di limitate sspensione dell’applicazione, ma gli stati si erano avvalsi di questa possibilità avevano in occasione di eventi che implicavano rischi per la sicurezza. C’è stata anche, comunque, nello scorcio dello scorso anno, un’attenzione sul trattato di Dublino, perché l’Italia è stata richiamata dall’Unione per violazione di alcune disposizioni.
Questo trattato prende origine dalla Convenzione di Ginevra del 1951 (la quale aveva avuto antecendenti ancora nel 1926 e nel 1928) Convenzione volta ad assicurare uno status di rifugiato alle persone perseguitate nel loro paese per ragioni, razzaili, religiose, appartenenza a partiti politiici o altri gruppi e riconoscendo una condizione simile a quella dello straniero.
La convenzione di Dublino regola la gestione delle domande presentate da richiedenti diritto di asilo, con il riconoscimento dello status di rifugiato. Anche il trattato di Dublino ha avuto una storia lunga: firmato nel 1990 è entrato in vigore sette anni dopo ed ha subito aggiornamenti nel 2003 nel 2013, esso stabilisce che la competenzaspetta allo stato dell’UE nel quale il richiedente ha messo piede per la prima volta e al quale va restituito, ove sia transitato ad altro stato. Le impronte digitali dei richiedenti sono raccolte presso una Banca dati europea. L’Italia ha adottato con varie disposizioni le procedure interne per l’accoglimento della domanda, prevedendosi- naturalmente – anche il diritto di accedere, in caso di rigetto, agli organi di giustizia in tutti i tre gradi di giudizio.
Si è ritenuto rilevante questo accenno al trattato di Dublino perché anche dalle poche informazini riferite emergono con chiarezza i motivi che ne hanno ispirato la genesi e la stesura. La logica, con tutta evidenza, è quella che anima un bravo stato sociale, che vive in pace, assicura la tutela dei diritti umani e la promozione del benessere per quanti in qualche modo risiedono nel suo territorio. È, cioè, una logica quanto mai lontana dall’essere utile per affrontare fenomeni come le migrazioni di massa che sono in atto e che richiederebbero una gestione politica internazionale ad alto livello, operata da un vero stato europeo all’altezza della situazione, con capacità di intervento proprio all’origine della cause che provocano il fenomeno di una massa di milioni di profughi dal Medio oriente.
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