Nel nostro Paese siamo abituati a considerare ”destra” i movimenti politici che si richiamano, più o meno direttamente, al fascismo. La cultura prevalente, cioè quella comunista, (ma anche quella cattolica, che si è adeguata di buon grado) ci ha abituato così a una nozione di “destra” che non può essere condivisa, anche se per quanti l'hanno accettata essa è stata molto proficua, per la sua grande portata strumentale.
L’assimilazione della destra con il fascismo faceva infatti molto comodo in un paese che, certo più per quieto vivere e per modeste convenienze che per vera convinzione, fino al 25 luglio aveva osannato Mussolini, ma il 26 mattina – sentito al giornale radio che il re aveva licenziato il Duce – si era alzato antifascista. Faceva soprattutto comodo al PCI, che essendo consapevole di portare nello zaino qualche sasso parecchio pesante, trovava così una chiave politica di massa per farsi quanto meno accettare, se non come tale, almeno da gran parte della popolazione come componente indispensabile della nuova democrazia nazionale. Equivoco che andava bene pure alla DC, che così aggirava lo scoglio dell’anticlericalismo, guadagnava subito il richiamo dei Patti lateranensi nella costituzione e soprattutto un ruolo indiscutibile tra le forze del rinnovamento del paese dopo l’avventurismo del ventennio.
Ma la crisi dei partiti tradizionali iniziata nei primi anni Novanta del secolo scorso, e che ora si sta concludendo con la travagliata vicenda del PD, ha reso indispensabile una revisione dei vecchi concetti, a partire da quella sorta di unità nazionale che si esprimeva nell’ “arco costituzionale”, unità che non consentiva il formarsi e l’operare di una vera contrapposizione tra un governo e un’opposizione e postulava la necessità che una vera sinistra si trovasse di fronte una vera destra, che un partito o una coalizione del progresso e del cambiamento, la sinistra, si trovasse di fronte un partito o una coalizione della conservazione, una destra, una vera destra.
Negli ultimi venticinque anni, però, non si è fatto gran che su questo fronte; lo sappiamo tutti. E si tratta di un corso politico che meriterebbe un convegno, un appello, un manifesto e assai più di un convegno di un appello, di un manifesto. Anche perché le forze di destra di nuovo impianto, proprio per non aver espresso un grado di consapevolezza adeguato al compito che si son trovate di fronte, sono scivolate in un progressivo deterioramento, come è sotto gli occhi di tutti.
La sinistra del cambiamento ha infatti bisogno di una destra conservatrice, capace di evidenziare in anticipo i passi falsi, di evitarle di confondere la costruzione di una democrazia avanzata con la voglia di mandare al macero tutto il passato, che alimenta solo ribellismi, populismi, trasformismi. A questo proposito è molto interessante ricordare il “Manifesto dei conservatori” di Giuseppe Prezzolini, uscito nel 1971 (e ripubblicato nel 1995 a cura di Sergio Romano): ”… Il vero conservatore si guarderà bene dal confondersi con i reazionari, i tradizionalisti, i nostalgici, perché il vero conservatore intende continuare mantenendo e non tornare indietro e rifare esperienze fallite… sa che a problemi nuovi occorrono risposte nuove e della tradizione vuole conservare solo ciò che è ancora utile per il proprio popolo. Il vero conservatore è ovviamente un innovatore… Al testo del “Manifesto” è anteposto un pensiero di Piero Gobetti: “Un partito conservatore poteva compiere in Italia una funzione moderna, indirettamente liberale, in quanto facesse sentire la dignità del rispetto alla legge, l’esigenza di difendere scrupolosamente la sicurezza pubblica e l’efficacia del culto delle tradizioni per fondare nel paese una coesione morale…”.
È il pensiero di un vero liberale, di un pensatore, e combattente, per il quale il vero liberalismo era quello del quale furono eredi gli scrittori del Mondo di Mario Pannunzio, pubblicato tra il 1949 e il 1966, e i militanti di Marco Pannella, per scrivere negli anni Settanta una grande pagina liberale in Italia.
I conservatori non erano liberali per Piero Gobetti: potevano solo contribuire “indirettamente”…
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