Il vantaggio di Matteo Renzi risiede soprattutto nei suoi rivali, sia interni alla maggioranza di governo che esterni. È questo che spiega la condizione di incertezza nella quale, bene o male, si trovano diversi commentatori politici allo scadere di questo suo primo anno a Palazzo Chigi.
In fondo, qualunque italiano non ha visto certo migliorare la sua vita rispetto al tempo in cui governava Enrico Letta, da Renzi estromesso in nome proprio dell'urgenza di un cambiamento. Eppure, le critiche che pure possono levarsi sono quasi sempre frenate dalla considerazione che gli eventuali antagonisti, da sinistra come da destra, appaiono poco credibili se non addirittura indigeribili.
Affidarsi a Grillo, che sbraita contro le caste per poi ergersi a difesa dei compagni di cassetta elvetica? O a Landini, iper presenzialista in tv che, dopo il flop sindacale, si ricicla in politica a infoltire la schiera già numerosa degli esponenti della triplice passati dalle fabbriche ai palazzi romani? O a qualcuno del centrodestra, che non sia lo zio Berlusconi, bravi a proclamarsi liberali per difendere nel concreto tutti gli interessi corporativi immaginabili?
Insomma, allo stato delle cose Renzi può ancora tenere banco e, se non esagera, continuare quasi indisturbato nel suo disegno di dar vita a quel partito della nazione, da far risultare indispensabile e insostituibile rinverdendo i decenni del "bipartitismo imperfetto" descritto a suo tempo da Giorgio Galli.
Il punto critico sta però in questo interrogativo: tutto ciò è quello che serve al Paese? A nostro avviso no. E si ha un bel lanciare fumogeni colorati sul "cambio di verso" o insistere negli espedienti retorici sul riscatto italiano. Finora nessun elemento della griglia che ingabbia l'Italia è stato veramente smontato, né col cacciavite né con il trapano.
Non è accaduto per la giustizia, dove non sono stati affrontati gli snodi critici fondamentali: dall'obbligatorietà dell'azione penale alla carcerazione preventiva, per oscillare fra depenalizzazioni strumentali senza alcuna considerazione per i reati contro le persone e inasprimenti demagogici, tesi a placare la furia giustizialista. Altrettanto vale per il fisco, che a dispetto dell'ostentato aumento delle detrazioni, resta vessatorio al pari dell'atteggiamento delle burocrazie verso i cittadini e le loro attività. Per non parlare della scuola, dove è tutta una fiera all'insegna del già visto: dal suo uso come ammortizzatore sociale della disoccupazione intellettuale alle vacuità di un pedagogismo d'antan, i cui cascami sono ormai un pallido ricordo presso tutti gli altri Paesi a eccezione del nostro.
L'anno trascorso ha visto impegnarsi il governo in prima persona nella riforma elettorale e istituzionale. Due passaggi utili più a un consolidamento del potere che non a un effettivo cambiamento. Le esigenze di una maggiore rappresentatività, come pure di una efficacia del governo delle situazioni non saranno certo garantite da un maggioritario a doppio turno, che consegnerà il governo del paese a un'esigua porzione di votanti, o da un finto monocameralismo dove restano irrisolte le questioni relative alla trasparenza delle pressioni lobbistiche come pure quelle concernenti il finanziamento della politica.
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