Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

26/12/24 ore

Il botto nelle regionali in Emilia e Romagna


  • Silvio Pergameno

Sì! Il "botto" (come si dice a Roma),  il colpo, la deflagrazione, c’è stato: quel 37,68% di elettori alle urne, che è molto di più di un quasiasi minimo storico di partecipazione alla consultazione. È la presa d’atto popolare, nella regione più politicizzata d’Italia, che un periodo storico è finito. Forse più sensitiva che razionalizzata, ma che non esclude possibili evoluzioni.

 

C’è voluto quasi mezzo secolo da quando noi radicali cominciammo a denunciare il carattere di "regime" che la condizione politica dell’Italia presentava, in forma sempre più marcata, già nella seconda metà degli anni sessanta del secolo scorso, alla vigilia di quel famoso sessantotto, della protesta, dell’esplosione liberatrice che il PCI riuscì comunque a contenere e dirottare nell’alveo dei suoi canali organizzativi, perfezionando quella capillare pervasione della società civile, che ha rappresentato lo strumento principale della sua presenza politica.

 

Un regime, certamente: perché coinvolgeva tutte le maggiori forze politiche; perché nel chiuso delle Commissioni parlamentari le leggi, o meglio "leggine", passavano con il voto dei maggiori partiti; perché non c’era una vera opposizione che controllasse la spesa pubblica; perchè tutte le forze politiche presenti (con l’eccezione radicale) erano pronte a "partecipare", ognuno portando i suoi gruppi di interessi, grandi o piccini; perché le leggi elettorali, la formazione delle liste, la propaganda in occasione delle consultazioni tutto serviva non a promuovere la rappresentatività ma a salvaguardare le posizioni acquisite di chi già "stava dentro"; perché la stessa costituzione veniva interpretata e applicata in funzione consociativa e corporativa; perché la lotta politica, la contrapposizione era sostanzialmente abolita e sostituita dalla concertazione; perché il dissenso sfumava nel rivoluzionismo …

 

Certo non meno perché – nel quadro organizzativo del PCI - sindacato, cooperative, associazioni  frontiste della più svariata natura, poteri locali non erano "corpi intermedi" – come pensa Pier Luigi Battista sul Corriere della Sera – cioè formazioni autonome e autosufficienti, ma articolazioni del grande PCI, anima e guida della sinistra italiana e che a sinistra non voleva nessuno, ma nessuno voleva nemmeno nel quadro generale della sinistra: da cui la lotta continua, tenace, indefettibile alla socialdemocrazia nelle sue varie espressioni, Saragat prima e Craxi dopo, con la finale vittoria di Pirro dell’ ultimo leader socialista di rilievo in esilio ad Hammamet (una lotta della quale strumento essenziale era il dialogo con i cattolici, l’art. 7 della costituzione, il compromesso storico, come da sempre siamo venuti denunciando …

 

E infine il crollo progressivo del sistema dei partiti a partire dal 1993 con la sopravvivenza del PDS – DS - PD, nel quale era confluita anche la sinistra cattolica o quel che ne restava,  via via fino al PD di oggi che vorrebbe essere qualcosa di diverso e di nuovo. E naturalmente fa sentire ai margini il vecchio e complesso apparato e tutto l’elettorato che convogliava.

 

E perché l’astensione? Perché non ci sono più i frazionismi a sinistra del PCI, perché SEL è troppo poco, perché i Pentastellati non sanno che pesci prendere, né fuori e ancor meno dentro l’acqua …

 

Per allargare il discorso, si può dire che sia andata bene la Lega? Non si conoscono ancora bene i risultati, ma rispetto all’elettorato la percentuale è assai bassa e l’astensione emiliano-romagnola è una situazione destinata ad evolvere. In direzione leghista? E' difficile valutarlo.

 

Inoltre non si deve trascurare il fatto che ad evolvere è destinato anche quel popolo di sinistra cattolica, che la sapienza governativa della DC temporalista e concordataria aveva saputo inserire in un tessuto istituzionale ben aggiustato, che ha retto per mezzo secolo, nel quadro del vasto e composito tessuto sociale del mondo ecclesiale italiano.

 

Ma questo temporalismo, sempre più corroso dalle rivendicazione dei diritti civili e logorato (checché ne pensasse Giulio Andreotti…) da una prolungata gestione del potere, sosteneva sì il potere, ma il potere esistente e non aveva capacità di evoluzione: esso si è progressivamente essiccato, in parallelo con  lo svuotarsi delle chiese e e il rattrappirsi della frequenza religiosa.

 

È un campo nel quale oggi una porta può aprirsi per effetto dell’indirizzo pastorale che papa Francesco sta imprimendo al mondo cattolico, ma bisognerà vedere se in Italia emergeranno le capacità di coglierne il messaggio e di tradurlo sul terreno della vita politica. Un dubbio rimane, anche perché l’incapacità di evolvere rimane purtroppo un carattere che emerge da tutto l’ambiente politico nazionale e che si è progressivamente manifestato nel corso del passato ventennio.

 

L’astensione in Emilia e Romagna è un fatto da non trascurare, perché si manifesta in una regione che ama la politica; certo c’è stata sicuramente anche un’astensione di destra, ma da destra non sembra venire alcuna apprezzabile novità, mentre una Lega che si affianca al Front National di Marine Le Pen non sembra possa fare molta strada tra il Po e l’Appennino, anche se i sacrifici che si dovranno affrontare per cercare di uscire dalla persistente crisi che ci attanaglia potranno favorire facili escamotages di natura corporativa, per accontentare categorie particolarmente colpite dalle necessità di revisone di uno stato sociale costruito sul voto di scambio.

 

*****

 

Di fronte all’esito delle elezioni di domenica sembra diffondersi un clima di preoccupazioni per le sorti della democrazia italiana. Ma a dire il vero sembra che a preoccuparsi siano quanti hanno sempre rifiutato di compiere analisi approfondite (e veritiere) delle condizioni politiche del nostro paese: ove se ne riduca la sintesi valutativa al famoso "tutti ladri", è chiaro che non si andrà molto lontano e si porranno le premesse per un avvitamento autoritario, tanto più rischioso, in quanto a favorirne il possibile corso concorreranno i rischi che provengono da una situazione internazionale che ci trova esposti a pericoli da non sottovalutare.

 

La necessità di un colpo d’ala si rivela quanto mai indispensabile.

 

 


Aggiungi commento