Il fervorino con il quale Bulent Arinc, Vice Primo Ministro di Recep Tayyip Erdogan, giorni fa invitava le donne musulmane a portare sempre il velo e a tenere atteggiamenti castigati, ad arrossire se oggetto di uno sguardo e a non ridere il pubblico ha ricevuto la reazione di tante donne che si sono servite di youtube, di facebook e di twitter per sommergerlo in un mare di risate: un’efficace risposta nonviolenta, che può significare molto di più di una battaglia perduta. E questo mentre Erdogan, ormai deciso a giocare un ruolo nel quadro mediorientale sta riorientando il suo paese con una svolta decisamente musulmana.
Ma le cose non sono sempre andate così nel suo paese. Il cambiamento di indirizzo è avvenuto dopo che la Turchia ha atteso per mezzo secolo che all’accordo di associazione con l’Europa fosse seguisse l’ingresso nell’Unione.
"Quaderni Radicali" e “Agenzia radicale” sono intervenuti in più occasioni sulla vicenda turca sostenendo l’importanza dell’ingresso della Turchia nell’Unione europea, senza negare che esistessero problemi sulla vicenda democratica del paese, ma ritenendo che all’interno dell’Unione lo sviluppo democratico avrebbe trovato un sostegno e più facili soluzioni, senza dimenticarne poi il ruolo strategico dovuto alla posizione geografica, alla consistenza demografica (oltre settantacinque milioni di abitanti) e alla forza militare.
La Turchia poi era parte attiva della storia europea ormai da secoli, era già membro della Nato ed era l’unico paese musulmano che vivesse in un regime democratico, sorto nei primi anni venti del secolo scorso.
Le reticenze europee hanno finito per convincere Erdogan a cambiare strada e a giocare un ruolo autonomo nella partita mediorientale: chiave di ingresso, la progressiva forzatura sul ruolo della tradizione religiosa. Laddove l’ingresso in Europa avrebbe aperto le porte a un futuro sempre più legato alla tradizione democratica occidentale in una prospettiva non certo giacobina, ma rispettosa dei valori religiosi, dimostrandone la convivenza con i principi del laicismo, come accade in quasi tutti i paesi europei.
Oggi vediamo invece Erdogan, che un tempo conduceva una politica di amicizia con Israele, paragonare l’entità sionista a Hitler, raffreddare completamente la presenza della Turchia nella NATO e a condurre una politica interna sempre più autoritaria. Non dimentichiamo la repressione delle proteste di piazza Taksim la scorsa estate, dove i manifestanti si battevano per la salvezza e l’integrità del parco cittadino di Gizi.
Le elezioni sono vicine in Turchia e il premier è dato per sicuramente vincente; i sondaggi gli attribuiscono un 46% mentre l’opposizione laica è data al 30%. Ma la battaglia delle risate può forse dare qualche sorpresa.
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