Per il premier Matteo Renzi, l’ultima settimana coincide con una collezione di sconfitte politiche che hanno riguardato più piani. Infatti, a quella del rinvio delle nomine europee, dopo l’inutile braccio di ferro per candidare la responsabile della Farnesina, Mogherini, al ruolo di commissario agli Esteri dell’Europa, si devono aggiungere le notizie non confortanti sull’economia che prefigurano ormai la necessità di un’ulteriore manovra di "prelievo" e, sul piano più direttamente politico, il modo in cui va articolandosi il dialogo con il Movimento 5 stelle sulla legge elettorale.
Essere andati al confronto sulle nomine europee con la testa rivolta quasi esclusivamente alle questioni interne, relative alla revisione degli equilibri del proprio governo, volta a realizzare una sorta di spoil system per rafforzare al massimo il controllo del premier stesso, non ha certo giovato. L’enfasi attribuita poi alla conquista di un risultato, una volta che questo non è conseguito ha finito per essere controproducente.
Comunque, il rinvio delle nomine rappresenta un evidente arresto della parabola ascendente di Renzi, finora avvantaggiatosi della lettura dei risultati elettorali e della disposizione favorevole di gran parte dell’opinione pubblica. Se ne è accorto anche Romano Prodi – considerato dai più uno degli sponsor del premier – il quale ha osservato come l’aver rimandato a fine agosto la definizione della Commissione europea rappresenta, nei fatti, un dimezzamento del semestre italiano.
I rumours sull’imminente manovra fiscale d’autunno costituisce un altro elemento di debolezza della politica governativa. I dati dell’ultimo trimestre, con la lievitazione della spesa pubblica e la riduzione delle percentuali di crescita attese in sede di DEF, rappresentano la certificazione che gli interventi economici attuati , anziché cambiare verso hanno in un certo senso assecondato l’andamento negativo precedente.
D’altronde, essersi astenuti dall’affrontare i punti critici dell’economia nazionale, che si chiamano pressione fiscale elevata e contro produttività del nostro apparato amministrativo non poteva che produrre questo risultato. Qualora, poi, si dovesse insistere nel senso di un’ulteriore stretta fiscale non si farebbe altro che predisporre le ragioni di un definitivo oscuramento delle aspettative accese da Renzi quando è salito al governo.
Infine, la trattativa avviata con il M5S sulla legge elettorale e l’apertura dimostrata da Renzi verso alcuni aspetti delle proposte grilline – doppio turno fra i partiti più votati – non vanno certo nel senso di un rafforzamento della rappresentatività, né tanto meno della governabilità.
Assecondare Di Maio che propone una legge elettorale che è un vestito su misura per il movimento che lo esprime, significa fare la parte di chi insiste a puntare al tavolo delle tre carte nonostante sia acclarata la destrezza (e la malizia) del cartaro.
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