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15/11/24 ore

La questione Giustizia


  • Giuseppe Rippa

La ‘questione giustizia’ segna una delle tappe più acute di quella che storici e analisti politici hanno definito la “china discendente che l’Italia ha imboccato e dalla quale è sempre più difficile risalire …”? La risposta non può che essere sì. La contro-produttività del sistema giustizia è una tremenda e indiscutibile realtà che, nel nostro Paese, è divenuta un elemento di freno e di disorientamento nel processo di sviluppo e di crescita civile della società, concausa della crisi economica.

 

“… Prende nuovo e diverso corpo la questione giustizia che in questi ultimi trent’anni è stata influenzata da interferenze politiche. Lo scontro tra garantismo e giustizialismo vedeva in campo due contrastanti legioni: i garantisti che si richiamavano al principio costituzionale del giudice ‘soggetto solo alla legge’; i giustizialisti che si appellavano ad una forzata interpretazione della norma costituzionale per invocare il diritto del giudice a leggere la legge in stretta connessione con l’evoluzione politica e sociale della società. Questa discussione si staesaurendo perché i pregi ed i difetti delle due interpretazioni producono assoluzioni e condanne in tutte le aree politiche. È in via di esaurimento il sostegno assoluto e acritico di una parte politica ad una tendenza partigiana della magistratura. Bene ha fatto il Presidente della Repubblica a porre la questione giustizia come crisi della giustizia all’interno di una più vasta crisi di sistema. Ciò vuol dire una cosa semplice: non bastano più le sentenze per modificare le leggi, e le leggi per correggere le sentenze…”

 

La questione giustizia riassume in modo emblematico tutto il senso della crisi che il nostro Paese vive. Potremmo dire che è il fronte in cui, con maggiore evidenza, emerge tutto il senso dell’ambiguità della democrazia fittizia che ha realizzato una condizione di apparente diffuso benessere, dove si è avuta l’illusione di spazi di libertà e di crescita, ma dove è mancata clamorosamente quella cornice politica, culturale, di regole e di legalità che fanno una democrazia moderna.

 

La giustizia può essere così definita la radiografia più evidente, ma anche la più deformata, degli strumenti di guida politica (consociativi e compromissori, concertativi e elitari) della direzione politica e di potere del Paese, coi caratteri profondi e pervasivi delle culture anti-risorgimentali, maggioritarie nel dopoguerra, che avevano (e continuano ad avere, a destra come a sinistra), un assetto squisitamente illiberale.

 

Dunque la questione giustizia è divenuta vera e propria questione civile, che sempre più si allontana dalla vita reale per caratterizzarsi in questione morale, anzi decisamente moralistica.

 

La corruzione della moralità si chiama moralismo. Il moralismo è la scelta unilaterale dei valori per avallare la propria visione delle cose. Normalmente gli uomini capiscono che, senza un certo ordine, non si può concepire la vita, il reale, l’esistere. Ma come definiscono quest’ordine? Considerando la realtà secondo i vari punti di vista da cui partono, la descrivono nei suoi dinamismi stabili e mettono in fila un seguito di principi e di leggi, adempiendo i quali sono persuasi che l’ordine si crei. Queste parole sono di don Giussani (da Generare tracce nella storia del mondo – Rizzoli). E non può non emergere quanto risultino, nell’era di Formigoni, assolutamente stracciate dalla loro profonda sincerità.

 

Ecco allora che si scandiscono, in ogni epoca, le varie proposizioni analitiche in cui la riflessione distende le sue pretese: “Bisogna fare così e così”. I farisei definivano l’ordine con un numero quasi infinito di leggi: da un certo punto di vista, il fariseo è l’uomo affezionato all’ordine, il difensore della morale intesa come quell’ordine affermato e delineato, in quanto possibile all’uomo, secondo tutti i suoi dettagli…

 

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