La morte del più grande dei combattenti per l'emancipazione dei popoli africani obbliga, per un giusto ricordo della figura dell'uomo, a una riflessione su alcuni fatti di grande rilevanza; e se ad altra figura della nostra epoca possiamo paragonarlo la mente corre al mahatma Gandhi, in primo luogo perché entrambi combatterono ispirando la loro condotta ai principi della nonviolenza ma anche perché entrambi avevano di fronte lo stesso avversario: l'impero inglese.
E anche questo secondo aspetto è tutt’altro che trascurabile. Sia ben chiaro: non si vuole in questa sede tentare una ricostruzione del grande personaggio, ma soltanto evidenziare, nel triste momento della scomparsa, i tratti della sua lunga e tenace battaglia che ci sembrano i più rilevanti e quelli sui quali siamo obbligati a riflettere, proprio noi europei, che di fronte ai grandi cambiamenti che avvengono nel mondo ci presentiamo immiseriti e rattrappiti in beghe di stampo nazional-meschino, con conseguenze gravi e indegne dei tempi eccezionali che stiamo vivendo e del nostro passato.
Sia Gandhi che Mandela hanno emancipato i loro popoli senza ricorrere alla violenza e questa è una lezione colossale che viene impartita a quanti seguono strade diverse e si chiudono nel vicolo cieco dell’uso della forza che porta da un lato al ricorso alle imprese del terrore di singoli e/o all’instaurazione di regimi più o meno autoritari, fino alle dittature più feroci. Il riferimento all’impero inglese è altrettanto significativo.
Occorre, preliminarmente ricordare che la nonviolenza non è un’ideologia sommaristica né un espediente per fare politica e parlare di democrazia senza rischiare troppo: l’impegno nonviolento muove dal principio che anche negli stati democratici c’è lotta e che la democrazia non si esaurisce nello stato di diritto e nelle battaglie all’interno delle istituzioni.
La lotta nonviolenta però vuole che chi si sente costretto a contestare le istituzioni deve mettere in causa soltanto se stesso, fino alle conseguenze estreme: gli esempi sono tanti, assai più fuori dai confini dell’Europa che dentro. E ciò detto si deve riflettere sul fatto che le due più grandi vittorie della nonviolenza si sono realizzate nella lotta contro la nazione che la democrazia politica dell’epoca moderna la ha inventata e non male la pratica anche oggi (se non con il limite della dimensione nazionale entro la quale la sta chiudendo e che la ha portata e la porta ad errori assai gravi).
La nonviolenza è il metodo di lotta dei democratici nell’ambito delle democrazie, dove invece la rivolta violenta legittima la repressione e la giustifica davanti all’opinione pubblica, con le limitazioni della libertà che porta con sé. Un corollario infine: l’apartheid nell’Africa del sud era legato più alla componente boera dei colonialisti che a quella inglese, un fatto dietro il quale stanno due diverse tradizioni del pensiero politico e del costume antropologico tra i popoli europei.
E con questo ci riferiamo, ovviamente, più alla componente politica che alle singole persone (il famoso generale Smuts, tanto per fare un esempio, era di origine olandese ma condivideva appieno le posizioni degli inglesi).
Oggi ricordiamo Nelson Mandela; lo vogliamo ricordare come un richiamo per tutti noi europei a uscire dal recente passato novecentesco e dal triste presente, risalendo ai fondamenti primi della nostra cultura e della nostra civiltà.
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