La lettura dell’appassionata recensione di Angiolo Bandinelli dell’ultimo numero di Quaderni Radicali mi ha suscitato alcune riflessioni. È vero, ognuno aveva e ha in mente un’idea utopica di Partito democratico. La suggestione più frequente era quella, forse, dell’arcipelago, come ha scritto Giuliano Ferrara: una formazione in grado di esprimere linguaggi, culture, istanze diverse. Una forza “meticcia”, all’americana, ricca di fermenti. L’opposto della sterile convivenza fra fazioni.
Mi chiedo, però, se non vi siano degli ostacoli a monte per realizzare idee del genere. Probabilmente la deriva alla quale assistiamo da decenni ha minato i presupposti per simili tentativi: manca la fiducia reciproca fra i vari, possibili protagonisti. Manca quella sorta di incanto senza il quale non si realizza quasi nulla. Direi, forzando un po’, che manca quell’ingenuità (in senso etimologico) degli inizi, di ogni autentico inizio.
La società delle conseguenze, di cui spesso parla Giuseppe Rippa, ha per così dire bruciato il terreno, rendendolo più che mai arido. Ha agito sugli individui, su ciascuno di noi, sulle nostre coscienze e sui nostri retropensieri, ponendo una serie quasi insormontabile di ostacoli a livello prepolitico alla realizzazione di progetti degni di tale nome. Perciò oggi è divenuta centrale la questione della credibilità.
Da qui il forte disorientamento che viviamo e quella frattura che pare insanabile, pure sovente richiamata da Rippa, fra parole e cose.
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