La condanna di Silvio Berlusconi ha riportato in primo piano il tema della riforma della giustizia, vero punto di svolta per avviare quel processo riformatore che da trenta anni non riesce ad imporsi nell’agenda politica, anche perché l’elettorato non è molto sensibile al tema e le resistenze da superare sono fortissime.
Angelo Panebianco ha pubblicato sul Corriere della Sera un ottimo saggio sul tema, anche se con conclusioni troppo pessimistiche e con indicazioni troppo labili per una via di uscita dall’attuale stallo e a troppo lunga scadenza.
Rileva il columnist che la magistratura è oggi in Italia il potere più forte e che mai nella storia il potere più forte è stato ridimensionato da uno più debole, il che è anche vero, ma nel nostro caso occorre osservare che il potere più forte è diventato tale per le castronerie del potere politico, con il Berlusconi che con tre legislature, di cui due complete a disposizione non è riuscito ad avviare una vera riforma della giustizia e con un PD, che, sia pure con le dovute eccezioni (ma eccezioni appunto), ha pensato di trarre buoni utili dalle sentenze…
Oggi pare però che arrivi il mea culpa, con Berlusconi che pare alzi la voce solo per fare contenti i suoi ultras e con il PD dove qualcuno, per esempio Danilo Leva – cioè proprio il responsabile per la giustizia del partito - comincia a dire che loro sono in prima fila sul tema e propone delle riforme importanti, che toccano l’esercizio dell’azione penale, la disciplina dei giudici (da affidare a un organo terzo), la carcerazione preventiva, per evitarne utilizzi impropri, una miglior distinzione tra funzioni requirenti e funzioni giudicanti (anche se non la separazione delle carriere) e sempre senza toccare la costituzione.
Certo resta fuori quanto attiene alla divisione dei poteri, che è il cuore del problema e tutto resta esposto al rischio del riassorbimento, come è accaduto con le parziali riforme nel passato; e occorrerà vedere come le cose andranno al congresso del PD al prossimo novembre (ci sarà una Bad Godesberg?); ma gran parte della responsabilità per la riuscita di queste riforme sarà politica; occorrerà una vigilanza attenta da parte della Presidenza delle Repubblica.
E un ruolo della massima rilevanza sarà svolto dai referendum avviati dal partito radicale e dall’impatto che le forze politiche, il PdL in particolare, riusciranno a dare all’iniziativa. Ci si può sperare?
E sempre nella speranza che la Corte costituzionale non falcidi le richieste. Un’occasione si è aperta; auguriamoci che non vada sprecata.
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