La pronuncia della sentenza della Corte di Cassazione sul processo a Berlusconi può essere esaminata da vari punti di vista. Grillo l’ha definita un evento paragonabile alla caduta del Muro di Berlino per la politica italiana. Certamente segna uno spartiacque, ma davvero muta qualcosa nel giudizio che gli italiani hanno espresso e continueranno a esprimere sul leader del centrodestra?
Pare evidente che gli anti-berlusconiani vedono soltanto confermato quello che da vent’anni a questa parte hanno detto e scritto in ogni occasione: Berlusconi rappresenta il peggio del peggio, è un criminale di cui dopo una quarantina di processi si è certificata la propensione all’illegalità.
Viceversa, i berlusconiani lo riterranno vittima di una ingiustizia, convalidando la sfiducia in una magistratura da tempo ritenuta di parte e incapace di auto-riformarsi a causa del patto corporativo che stringe i suoi componenti. Da questo punto di vista, cambia poco.
Quello che può invece cambiare è lo scenario della nostra politica. Chiaramente un leader condannato in via definitiva subisce una mutilazione non da poco. Altrettanto si può dire dell’alleanza parlamentare che sostiene il governo. Le dichiarazioni del segretario del Pd, Guglielmo Epifani, lasciano pochi dubbi al riguardo. Perfino nel loro allestimento scenico, col segretario in piedi al centro e i due collaboratori a destra e sinistra a mani congiunte, davano l’idea di una corte di giustizia o rimandavano alle troike che guidavano il Pcus negli anni Settanta. Il Pd non intende farsi sfuggire l’occasione di convogliare su di sé la rappresentanza di tutto l’anti-berlusconismo, così da sopire le voci del Movimento 5 stelle e dell’estrema sinistra.
Per altri versi, le considerazioni provenienti dal Quirinale che – dopo aver invocato il rispetto delle istituzioni e quindi della magistratura – alludono alla necessità di procedere nella riforma della giustizia, lasciano intendere che la condanna di Berlusconi potrebbe essere letta quasi come un inevitabile sacrificio, volto a propiziare una inversione di rotta nel rapporto tra il potere politico e l’ordine giudiziario.
Su quest’ultimo, indipendentemente dalle vicende odierne, pesa infatti un discredito che risale a molto tempo prima della discesa in campo di Berlusconi. Almeno dai tempi delle requisitorie di Olivares, in Italia si è rotto il rapporto fiduciario verso chi amministra la giustizia. Giustizia che colloca oggi il nostro paese negli ultimi posti delle classifiche internazionali e che, processi come quello conclusosi in parte oggi, lo assimilano più al club delle nazioni marchiate quali inaffidabili che non a quelle che si ispirano a uno Stato di diritto.
Resta da dire che la sentenza di Cassazione, dopo la lunga gestazione, denuncia indirettamente la patologia del sistema creatosi in alcuni tribunali, laddove affida la determinazione della pena accessoria, relativa all’interdizione dai pubblici uffici, ad un’altra sezione della corte di Appello milanese. A conferma che perfino i giudici del Palazzaccio hanno qualche riserva sui loro colleghi.
Frode fiscale, Berlusconi condannato definitivamente
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