Così ora veniamo a sapere che, se pure in assenza di una perfetta identità di stile, il premier Monti si sente assai vicino a Grillo (o almeno quelli che sembrano volerlo votare) e, come lui, prova “senso di sgomento e rabbia rispetto alla politica”. La protesta di Grillo, dice Monti, è giustificata, persino valida forse, anche se ha il difetto di non mutarsi in proposta.
“È difficile governare con Grillo, ma è difficile governare anche senza gli elettori di Grillo” – dice con qualche ammiccamento di intesa-non-intesa il premier uscente. Non deve meravigliare più di tanto questo riconoscimento, perché in realtà risponde a una prassi ormai consolidata della forma anti-democratica che distingue il regime politico italiano: il voto di protesta è sempre legittimato, salvo poi neutralizzarne le conseguenze qualora risultasse troppo scomodo. Non è invece legittimata la proposta alternativa, che infatti viene sistematicamente estromessa come è dimostrato dal trattamento riservato negli ultimi quarant’anni ai radicali.
A ben vedere, il potere costituito – anche nelle sembianze tecniche del governo Monti – adotta sempre gli stessi metodi. Non era diverso, in fondo, il modo in cui lo stesso terrorismo fu “usato” come puntello al regime, presentandolo quale potenziale contraltare del sistema, esecrabile quanto si vuole ma pur sempre utile alla preservazione degli assetti di potere e a silenziare ogni possibile alternativa democratica reale.
L’azzeramento della praticabilità democratica nella lotta politica, la soppressione degli stessi spazi per un confronto reale, al pari della delegittimazione nei confronti di chiunque individui tematiche e modalità atte a canalizzare democraticamente le esigenze presenti nella società sono fenomeni oramai sistemici della patologia vissuta dal nostro Paese. E che di certo non sarà risolta da questa tornata elettorale.
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