Sebbene ancora non si conoscano le liste in corsa per il voto del 24-25 febbraio, si possono tuttavia fare alcune considerazioni su quella che i commentatori chiamano già l’alba della Terza repubblica. A quel che si vede, purtroppo, essa è assai simile alle precedenti e – per quel che riguarda gli schieramenti – presenta gli stessi vizi. Anche stavolta, infatti, le forze in campo sono contraddistinte da una disomogeneità politica e strategica di fondo.
Com’è avvenuto negli anni del bipolarismo fra centro-destra e centro-sinistra, le alleanze che si vanno profilando conservano i caratteri contraddittori di sempre: alla ormai storica contrapposizione fra riformisti e massimalisti che attraversa tanto il PD che la sua coalizione con Vendola, si accompagna nuovamente il polo berlusconiano che deve combinare leghisti, destra sociale e richiami vagamente liberali.
È uno scenario che ripete sostanzialmente quello degli ultimi diciott’anni: è dal 1994 che i governi espressi da queste coalizioni non sono riusciti a delineare un minimo di politiche coerenti, dibattendosi sempre fra statalismo e liberismo chiunque prevalesse nelle urne. Ora, la stessa situazione si ripresenta pure con gli altri attori in commedia.
Se consideriamo gli Arancioni, per esempio, troviamo l’anomala unione fra Fiom e “Robin Hood vari”, con sempre in bocca i diritti dei più deboli e poveri, alleati con gli esponenti della corporazione più protetta, garantita e tenacemente abbarbicata a privilegi che detengono da decenni: quei magistrati capaci di avviare class action per contrastare i tetti stipendiali agli alti funzionari.
E lo stesso può dirsi per la formazione raccolta attorno alla cosiddetta “agenda Monti”, nella quale il presidente del Consiglio dovrà accompagnarsi a quei professionisti della politica politicante che – a parole – contrasterebbe in nome degli interessi nazionali.
Ma se questa è la contraddizione più evidente, ve n’è un’altra non meno significativa. Il governo Monti, al di là del bene o del male del suo operato, è stato comunque espressione di quelle corporazioni pubbliche o private (burocrati, banchieri, docenti universitari ecc.) che hanno davvero determinato – ancor più dei politici sempre transeunti – le scelte che storicamente hanno portato ai problemi vissuti oggi dalla società italiana. È questa la più grande delle contraddizioni: come si fa a pretendere di proporre soluzioni, quando si è parte del problema medesimo?
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