In un incontro organizzato dall’università Luiss Guido Carli dedicato alla questione generazionale in Italia, e più in generale alle sfide che i giovani si trovano ad affrontare nell’attuale sistema lavorativo, è intervenuto il senatore Pietro Ichino.
Noto per le sue posizioni social-liberali e riformiste – largamente distanti dalla condotta dominante del Partito Democratico, tirato per la giacca dal massimalismo di Vendola e dal corporazionismo della Cgil – il giuslavorista ha espresso un concetto molto interessante sulla relazione tra l’approccio tradizionale della sinistra con il mercato del lavoro e l’assenza di riforme nel settore.
Ichino definisce il fenomeno che ha interessato la sinistra italiana “sindacalizzazione”: “La sinistra italiana ha assunto questa posizione teorica e pratica che l’ha portato a identificare come di sinistra ciò che costituisce normalmente l’obiettivo di un sindacato, cioè la difesa degli interessi di un lavoratore regolare”.
“Ma il sindacato – aggiunge Ichino – è per sua natura un’organizzazione conservatrice, perché tutela appunto gli interessi di una categoria. Quello che è grave è che questa funzione – la tutela degli interessi di una parte – è assurta a interesse strategico dei progressisti e di coloro che dipendono dall’etichetta di essere la sinistra nel Paese”.
Il risultato del processo di sindacalizzazione è stato che la sinistra, invece di farsi portatrice degli interessi dei cosiddetti outsider, “si è indotta a difendere il diritto dei quarantenni, cinquantenni, sessantenni di continuare ad andare in pensione col vecchio sistema, a conservare le strutture (avete mai sentito una sola volta, su un’azienda in crisi, che il sindacato e la sinistra abbiano detto sì, effettivamente è il caso di chiuderla?), tutto a spese delle nuove generazioni”.
Di questa sindacalizzazione della sinistra fa parte anche la difesa a oltranza (“aldilà di ogni ragionevolezza”) dell’articolo 18. Una norma che, secondo Ichino, “aveva un senso nel tessuto produttivo dei primi anni ‘60 o ‘70, quando si entrava in fabbrica a 16-18 anni con l’idea di passarci tutta la vita, ma oggi che è assolutamente normale che un lavoratore cambi azienda 4,5,10 volte prima di arrivare alla pensione, l’articolo 18 è di per sé fuori dal tempo”.
“È chiaro ed evidente – conclude Ichino – che la sicurezza economica e professionale del lavoratore va costruita non sul legame con il primo posto di lavoro ma nel passaggio tra il vecchio e il nuovo lavoro”.
Un intervento lucido e pieno di spunti di riflessione, che ha il merito di riportare a galla il tema della questione liberale nel centrosinistra italiano, sollevata con costanza su Agenzia Radicale.
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