Negli ultimi tempi la Corte Costituzionale è diventata, col suo fare maldestro, una mina vagante piazzata sotto i conti dello Stato. La sentenza che ha infatti intimato di restituire il maltolto ai pensionati, per il blocco dell’adeguamenti annuali al costo della vita, ha creato un problema di non poco conto al Governo, che dovrà porvi in qualche modo rimedio, mentre all’orizzonte si profila un altro caso simile, ma dal peso specifico più consistente.
Il 23 giugno è infatti previsto il pronunciamento della Consulta in merito alla questione di legittimità costituzionale del blocco della contrattazione nel pubblico impiego. Se il metro di giudizio seguirà la falsa riga pensionistica, sul ministro Padaon cadrà così un’altra tegola che lo costringerà a sottostare al diktat esterno, condizionandone le scelte, già di per sé limitate, di politica economica.
Fiutato il pericolo incombente, l'Avvocatura dello Stato ha fatto quattro conti e in una nota, inviata a futura memoria sulle scrivanie dei supremi guardiani della Carta, ha sottolineato – come scrive l’Ansa - che “l'onere della contrattazione di livello nazionale, per il periodo 2010-2015, relativo a tutto il personale pubblico, non potrebbe essere inferiore a 35 miliardi", con "effetto strutturale di circa 13 miliardi" annui dal 2016.
La questione, a questo punto - come si ebbe già modo di sottolineare su queste pagine, è di opportunità, nei modi e nella tempistica di un pronunciamento, di per sé legittimo, perché incide sull’azione politica di un Esecutivo, già alle prese con difficoltà ataviche che rendono da sempre impossibile un’azione incisiva in tema di spesa pubblica o meno, più che di legittimità. A cui si aggiunge, visto il recentissimo precedente, un problema di coerenza. Ma su questo esempi ambigui nella storia dell’organo costituzionale non mancano. (A.M.)
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