Yes, they can. Lo slogan di obamiana memoria ben si adatta, nella sua volontà di esprimere un cambiamento in chiave liberaldemocratica, alle novità che Usa e Gran Bretagna hanno deciso di presentare al tavolo delle trattative messo in piedi con una oramai larga fetta della popolazione in cerca di maggiore tutela sul piano dei diritti civili (e umani): quella omosessuale.
Seppure in contesti differenti tra di loro, segnati dall'appartenenza a 'vecchi' e 'nuovi' mondi, la tormentata storia del riconoscimento legale di quel “sì” scambiato tra due persone dello stesso sesso pare trovare un uditorio più sensibile sia nel regno di Elisabetta II che nei più vasti territori oltreoceano.
Il primo ministro inglese David Cameron ha infatti stabilito che all'inizio del nuovo anno il parlamento sarà chiamato a discutere la legge che riconosce ufficialmente le nozze gay e che, se approvata, potrà entrare in vigore all'inizio del 2014, consentendo alle coppie che lo vorranno di sposarsi anche nei luoghi di culto.
“Sono un grande sostenitore dell'istituzione del matrimonio e non voglio che le persone gay ne siano escluse – ha dichiarato il premier conservatore spiegando inoltre che l'inziativa del governo non vuole rappresentare un diktat per le istituzioni coinvolte: “Se ci sarà una chiesa, una sinagoga o una moschea che non vorrà ospitare un matrimonio gay, non sarà in alcun modo obbligata a farlo”.
Una mossa, quella di Cameron, accolta con entusiasmo dalle associazioni omosessuali britanniche e da un folto gruppo di Tory secondo cui “le Civil Partnership (le unioni civili, ndr) non sono abbastanza” perché “non sono matrimoni riconosciuti a livello globale”: e proprio questa frangia dei conservatori sta esortando il primo ministro a varare la legge entro Pasqua senza cedere all' opposizione di quella parte del partito e della Chiesa anglicana fortemente arroccata su un voto contrario.
E mentre l'Inghilterra si prepara alla battaglia di inizio anno in parlamento, nella terra dei 'cugini' americani la Corte suprema ha deciso, per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, di intervenire sulla questione dei matrimoni omosessuali, fino ad oggi di pertinenza solo dei singoli Stati.
I nove giudici hanno infatti accolto due ricorsi su cui dovranno prununciarsi: il primo concerne la costituzionalità della legge federale che definisce tradizionalmente il matrimonio come unione tra un uomo e una donna , il 'Defense of Marriage Act', introdotta nel 1996 sotto la presidenza Clinton e considerata discriminante per le coppie gay.
Il secondo ricorso riguarda invece il referendum votato 4 anni fa con cui la California ha varato la 'Proposition 8', la legge che vieta i matrimoni gay fino al 2008 garantiti dalla Corte di San Francisco. La sentenza della Corta Suprema è prevista a giugno.
Nell'attesa dell'epocale decisione lo Stato di Washington, nel giorno dell'entrata in vigore della legge che legalizza il matrimonio tra persone dello stesso sesso, ha visto convolare a nozze 800 coppie omosex, di cui 140 nella sola Seattle, entrando dunque a pieno titolo nella rosa dei nove stati Usa che hanno detto “sì” ai matrimoni gay.
Un “sì” di cui nel cortile di casa del Vaticano si può sentire solo l'eco, in barba ai principi di uguaglianza e ai diritti inviolabili dell'uomo sanciti dalla Costituzione. Matrimoni gay nella terra dei Papi? No, we can't.
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