di Andrea Yaakov Lattes*
Da quando è iniziata l’aggressione di Hamas il 7 ottobre 2023, da diverse parti si sente richiedere la cessazione delle ostilità nella regione (che oggi 19 gennaio 2025 ha una ancora fragile tregua ndr). Chi auspica la tregua usa, spesso a sproposito, i termini di “pace” o di “shalom” in maniera intercambiabile intendendoli come sinonimi. Senonché, contrariamente a quanto si pensa, i significati dei due termini non coincidono, e di conseguenza le concezioni che ne derivano sono diverse.
Il termine pace, proviene naturalmente dal latino ‘pax’. La pax romana, era prima di tutto una dea del pantheon, a cui si dedicava un tempio, l’ara pacis appunto. Ma con il termine di pace si intendeva l’imposizione con la forza del dominio romano e del suo sistema sulle popolazioni sottomesse, che venivano quindi represse. La famosa “Pax Augustea”.
Da questa concezione deriva l’idea cristiana di pace in senso di non belligeranza. Ecco allora che nel Vangelo di Matteo si dice esplicitamente di non opporsi al malvagio: “se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra” (Matteo 5,39). Senonché queste due concezioni, cronologicamente consecutive, contengono un difetto originale, in quanto non contemplano il diritto alla legittima difesa.
Se hai un vicino di casa prepotente e violento, in teoria dovresti lasciarlo fare, porgendorgli appunto l’altra guancia. Questa situazione è pericolosa, non solo perché non si dà alla vittima ed al perseguitato il diritto di difendersi, ma così nemmeno si argina la violenza, ed anzi si lascia la società in balia dei violenti e degli energumeni. Si torna alla legge della giungla.
Inoltre, invocando un’estrema non-belligeranza si rischia appunto di creare un paragone fra le due parti, e di mettere sullo stesso piano sia l’aggressore che l’aggredito. Così facendo si rischia anche di perdere la facoltà intellettuale di distinguere ciò che è bene da ciò che è male. Alla fine, tutto ciò porta non a fare giustizia, ma anzi a creare proprio un’ingiustizia ed a reprimere chi ha subito il torto.
La concezione di “shalom” non è niente di tutto questo. Il termine ‘shalom’ proviene dalla radice shalem, che significa completo o intero, e per tradurlo in italiano si potrebbero usare parole come equilibrio o armonia. Vale a dire, che nell’ambito di un conflitto, i due contendenti non dovrebbero soltanto fermare le armi e fissare una tregua, lasciando il torto così com’è, ma anzi dovrebbero cercare di raddrizzarlo, cercando quindi di raggiungere un equilibrio, diremmo un’omeostasi.
Rabbì Yosef Albo, filosofo spagnolo del 15 secolo, nel suo “Sefer ha’ikkarim” (4,51) scriveva, anticipando Thomas Hobbes, che ogni essere in natura è diverso, ed ognuno cerca di sopraffare il suo compagno. Senonché così facendo tutti e due saranno perdenti, quindi l’unica soluzione è trovare un equilibrio fra i due contendenti, che si chiama appunto “shalom”.
Quando noi benediciamo i nostri figli o gli amici usando il termine di shalom, non auguriamo loro soltanto di potersi astenere dalla guerra, ma anzi di trovare un’armonia, appunto l’omeostasi, e quindi una serenità interna. Anche nell’ambito familiare, quando un uomo ed una donna si uniscono, mettono assieme due parti, ognuna di per sé limitata ed imperfetta, ma formano insieme una unità che aspira alla perfezione, creando appunto la “shalom bayt”, l’armonia della casa.
Non per niente, “Shalom”, secondo la tradizione ebraica, è uno degli attributi di Dio, in quanto perfetto, e opposto all’uomo imperfetto ed incompleto. Così anche il sabato simboleggia il giorno in cui si crea un’armonia fra l’uomo e la natura, e difatti ci si augura “shabbat shalom”. È compito del singolo cercare incessantemente di superare i propri confini di limitatezza, il suo essere umano, aspirando invece a creare un’armonia, una “shalom” appunto, fra sé e gli altri, e fra sé ed il creato.
Tutto questo non ha niente a che fare con la “pax romana”.
Il 7 ottobre del 2023, Hamas è penetrato nelle città di Israele usando violenza, stuprando e uccidendo i civili e gli inermi, e quindi iniziando volutamente un conflitto che l’altra parte non ricercava. Richiedere soltanto la “pace”, cioè la cessazione delle ostilità, significherebbe ricompensare il violento ed il prepotente.
Ciò che invece va fatto è cercare di ricostituire l’equilibrio fra le diverse parti, reprimendo appunto chi pretende di usare la forza per farsi ragione.
* Dr. Andrea Yaakov Lattes
Yaad Academic College, Tel Aviv
President of ASSEI, The Israeli Association for the Study of History of Jews in Italy
https://independent.academia.edu/AndreaYaakovLattes
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