di Camillo Maffia
"Vittima di una caccia alle streghe". Così l'avvocato Alessandro Tomassetti, difensore della preside del Liceo Montale di Roma sospettata di aver intrecciato una relazione con uno studente diciottenne, si è espresso a proposito del linciaggio mediatico del quale è vittima la donna, messa alla gogna con tanto di lettera scarlatta cucita addosso come nell'omonimo capolavoro di Nathaniel Hawthorne.
Il surreale dibattito si era finora concentrato non già sull'abominio del supplizio, bensì sull'opportunità di applicarlo nel caso presente, in assenza non soltanto di processo, ma anche di reato, come ha sottolineato il legale, considerato che della sua cliente noi oggi conosciamo nome, cognome, volto, conversazioni private…
Ma torniamo ad Hawthorne, il quale s'ispirò fra l'altro alla reale caccia alle streghe avvenuta a Salem nel Seicento (durante la quale un suo antenato aveva avuto il discutibile onore d'essere fra i giudici del caso), e guardiamo per un istante alla lettera scarlatta, questo marchio d'infamia mediante il quale la società patriarcale puritana deve poter fare un esempio di Hester Prynne. Viene allora da domandarsi: la nostra è così diversa?
Per scoprirlo bisogna fare lo sforzo di salire sul patibolo insieme alla signora Prynne. Il romanzo di Hawthorne inizia così: attraverso i suoi occhi noi capiamo per un breve istante cosa significa quel supplizio, quello che la donna prova nell'essere contemplata dall'intera comunità sotto una luce implacabile. Già qui noi andiamo oltre la questione femminile: il problema non è più soltanto la sessualità, non è più solo l'adulterio e non è più neppure unicamente l'arrogarsi il diritto di esporre al pubblico ludibrio un fatto indiscutibilmente privato. No, è la pena in sé che nega ogni basilare concetto di umanità, perché nessun essere umano merita un'esperienza del genere, neppure se ha barato al gioco, se ha rubato o peggio ancora.
Però non c'è soltanto Hester Prynne sul patibolo. Accanto a lei c'è la piccola Pearl, la sua bambina, che certo è lì in quanto frutto del peccato, ma che con il suo sguardo innocente ci ricorda come ogni qualvolta si mette alla gogna un uomo o una donna, per qualunque ragione ciò accada, anche i suoi familiari sono esposti al medesimo tormento. D'un tratto attraverso gli occhi dell'adultera noi vediamo altro ancora: ecco, ora scorge il marito – è proprio lui che la fissa, assetato di vendetta!
Soltanto lei ne è consapevole, gli altri non lo riconoscono, eppure in fondo è proprio a causa sua che lei si trova lì, benché indirettamente. Non è infatti per vendicare la mascolinità ferita che si appuntano le lettere scarlatte?
Viene ancora da domandarsi se la nostra società sia così diversa, se abbiamo elaborato una giustizia che punta al reinserimento sociale di chi ha sbagliato al di là di ogni ragionevole dubbio o se anche noi cadiamo nella tentazione di allestire gogne dopo processi sommari. C'è da chiedersi se non sia sufficiente accendere la televisione o accedere ai social network per vedere i volti di uomini e donne bersagliati di insulti, i dettagli della loro vita privata gridati ai quattro venti, le loro esistenze dissezionate con strumenti affilati quanto crudeli per soddisfare il voyeurismo della folla che invoca il patibolo prima ancora che la giustizia cominci il suo corso.
Nello sguardo angosciato di Hester Prynne che dal patibolo vede il padre di sua figlia, quell'uomo del quale non ha voluto a nessun costo rivelare il nome attirandosi così ancora di più l'odio dei suoi torturatori a causa del segreto che così gelosamente serba nel petto, non c'è la luce ormai morta di un'epoca che ci siamo lasciati alle spalle. Anzi, forse oggi assistiamo a qualcosa di peggio. Perché se davvero facciamo un ultimo sforzo per vedere attraverso i suoi occhi, se resistiamo ancora per qualche istante accanto a lei così crudelmente messa alla gogna, oltre la figlia, oltre il marito, oltre l'amato e perfino oltre il supplizio ci sono i confini.
Sì, Hester Prynne, se lo volesse, potrebbe scappare. Se sceglierà di farlo o meno qui non c'interessa: il punto è che per una donna nella sua posizione sarebbe sufficiente, al termine del supplizio, scendere dal patibolo, preparare le valigie e andarsene. Dove? Dovunque. In qualunque posto non sia più l'adultera. C'è l'intera America del Nord, l'Inghilterra e chissà quanti altri luoghi, il mondo è vasto e in tanti si meraviglieranno del fatto che lei non intraprenderà questa strada, al punto da farci sospettare che quella lettera scarlatta fosse solo un modo per spingerla a levare le tende, per crearle il vuoto intorno in una dinamica senza tempo.
Ma se la gogna, anziché da una comunità ristretta, fosse stata vista da milioni e milioni di persone? Se Hester Prynne non fosse obbligata per legge a indossare quel simbolo all'interno del posto in cui vive, e dal quale potrebbe andarsene, ma fosse stata marchiata a fuoco? In questo caso, ci troveremmo di fronte a una distopia mostruosa, che avrebbe fatto inorridire non solo i più bigotti contemporanei di Hawthorne, ma forse perfino i puritani dell'epoca in cui è ambientato il suo racconto. Una lettera scarlatta indelebile, che anziché sulla volta del cielo, dove compare per pochi attimi, si staglia senza limiti di tempo né confini nel cyberspazio. Una gogna 2.0 che dura giorni, mesi, anni, e che è sempre possibile reperire con un semplice click.
Fantascienza, si dirà. Eppure non sta forse già accadendo? La preside del liceo Montale di Roma può forse togliersi di dosso la lettera scarlatta che le è stata cucita addosso senza che nessuno l'abbia processata né tantomeno condannata? Se dovesse chiedere il trasferimento e ottenerlo, magari ad Aosta o a Trapani, non verrebbe forse riconosciuta da tutti? Pensiamoci: Hester Prynne che ovunque vada viene seguita da una lettera virtuale, la cybergogna che da supplizio si trasforma in incubo digitale, Hawthorne che va a sbattere contro Philip K. Dick e gli rovescia il caffè sulla camicia pulita.
E' quello che sta accadendo. E non solo alla preside, della quale nell'era della privacy conosciamo più dati personali di quelli che è obbligata a fornire all'agenzia delle entrate. Perché se tu sei stata un'attrice hard e qualcuno ti uccide, sappi che qualcun altro prenderà i tuoi pezzi e li esporrà ancora grondanti sangue su un patibolo dal quale neppure la morte ti può salvare. Allora forse ha ragione l'avvocato, quando dice che si scambia il diritto di cronaca con la violazione dei diritti umani fondamentali, e va a toccare un problema più ampio.
Oggi la tecnologia ha cambiato completamente il volto dell'informazione. I giornali non sono più ad appannaggio di una minoranza acculturata della popolazione come nell'Ottocento e se già a quei tempi il rischio delle cacce alle streghe, delle gogne e del sensazionalismo era sempre dietro l'angolo, noi dobbiamo pensare che adesso, oltre alla carta stampata, abbiamo decine di canali col digitale terrestre, le pay tv, le piattaforme di streaming on demand, le radio, i siti web, i blog, i social network…
Per evitare che questi strumenti preziosi si trasformino in armi letali, forse è necessario oggi che i media trovino il coraggio di ripensare se stessi, di darsi dei limiti diversi, di capire che se da un lato i confini si espandono bisogna d'altra parte imparare anche come e dove restringerli.
"In alcuni paesi le donne si lapidano con le pietre, nel 2022 si lapidano a parole sui giornali", ha commentato l'avvocato Tomassetti. Le strade non sono che due: la prima è quella di un'informazione che trovi nuove regole, adatte ai profondi cambiamenti che sono avvenuti e stanno ancora avvenendo, in tempi rapidissimi, nei mezzi di comunicazione di massa; la seconda è quella che stiamo, purtroppo, già percorrendo.
Ovvero, le cacce alle streghe che ritornano nel volto oscuro e violento di un Medioevo tecnologico.
La versione poco neoromantica e molto neuromantica dellaLettera Scarlatta.
La cybergogna.
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