In Italia non c'è la pena di morte? Vengono in mente le parole di Marco Pannella: “Nelle infami carceri italiane c'è la pena fino alla morte”. Marcello Dell'Utri rischia di esserne un esempio illustre.
Il tribunale di sorveglianza di Roma gli ha negato la sospensione della pena per motivi di salute. In risposta, ha deciso di rinunciare al cibo e ai farmaci. E fa sapere che non vuole essere graziato, perché si considera “un uomo da liberare almeno per curarsi".
Sarebbe un suo diritto, in un Paese che si rispetti e che rispetti in principi minimi di umanità e giustizia. La sua vicenda – sottolinea Rita Bernardini, da anni in prima linea nella battaglia dei radicali contro il carcere fuorilegge - “è più che mai rappresentativa dei tantissimi casi di detenuti che in carcere non sono curati persino quando sono affetti da malattie gravissime che, se trascurate come purtroppo avviene, portano rapidissimamente alla morte o, se va bene, a pesanti invalidità”.
Dell'Utri non è un detenuto come gli altri. Proprio per questo rischia di pagare una pena aggiuntiva. Il suo caso è giustizialisticamente scomodo. Per questo poco trattato dagli equilibristi del mestiere, troppo impegnati su altri fronti e che preferiscono cavalcare magari le indiscrezioni di De Bortoli su Boschi e Banca Etruira.
Eppure ci sarebbero tutti i presupposti per farne una battaglia di civiltà, che valga poi per tutti, anche per quei detenuti ignoti che non hanno il "pregio" di finire sui giornali, pur subendo la stessa sorte dell'ex senatore di Forza Italia.
Come al solito, in questi casi - quasi in desolante isolamento - si muovono i radicali, al fine di promuovere “le iniziative non più rinviabili a salvaguardia della salute dei detenuti sempre più vittime di abbandono sanitario a causa di irresponsabili decisioni dei giudici di Sorveglianza”.
Mercoledì 13 dicembre,alle ore 11 a Roma presso la sede del Partito Radicale in Via Torre Argentina 76 (3° piano), si terrà una conferenza stampa, nel corso della quale interverrà la moglie di Dell'Utri, Sig.ra Miranda Ratti.
“Prenderà la parola anche la moglie di un recluso affetto da un tumore al fegato e in attesa di trapianto, il quale pur trovandosi a pochi mesi dal fine pena, non riesce ad ottenere la possibilità di curarsi”. (red.)
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