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24/12/24 ore

Turchia, 100mila licenziamenti di regime



L’onda d’urto della repressione avviata dalle autorità turche dopo il tentato colpo di stato continua a devastare la vita di un gran numero di persone che non solo hanno perso il lavoro ma hanno visto anche la loro vita e la loro carriera professionale fatte a pezzi”.

 

Si tratta del licenziamento di 100.000 lavoratori che “assomiglia a un annientamento professionale di massa ed è evidentemente collegato alla più vasta epurazione nei confronti di reali o presunti oppositori politici”. La denuncia arriva da Andrew Gardner ,di Amnesty International che ha guidato un team che ha prodotto un rapporto, frutto di 61 interviste svolte Ankara, Diyarbakır e Istanbul, intitolato “Nessuna fine in vista: il futuro negato agli impiegati del settore pubblico della Turchia dopo la purga”

 

Il rapporto rivela che i lavoratori licenziati stanno affrontando una situazione tremenda: le persone intervistate hanno raccontato che, in assenza di altri mezzi di sostentamento come la pensione, sono costrette a sacrificare tutti i loro risparmi, a fare affidamento su amici e familiari, a cercare un lavoro irregolare o a contare su piccoli contributi di solidarietà da parte dei sindacati. A molti di loro è vietato svolgere in regime privato una professione regolamentata dallo stato, come l’insegnamento e l’avvocatura. Allo stesso modo, i poliziotti e i soldati licenziati non possono ottenere impieghi simili nel settore privato.

 

I pochi che possono farlo, come gli operatori sanitari, fanno fatica a trovare un lavoro, soprattutto uno analogo per posizione e salario a quello precedente. Le autorità hanno annullato passaporto, precludendo loro le possibilità di cercare lavoro all’estero e restringendo così ulteriormente le loro opportunità d’impiego. Un piccolo numero di lavoratori licenziati ha intrapreso proteste pubbliche e subisce minacce, arresti e maltrattamenti. Nuriye Gülmen, una docente universitaria, e Semih Özakça, un insegnante, sono in sciopero della fame da 75 giorni.

 

Anche se alcuni dei licenziamenti, come ad esempio quelli dei soldati che hanno preso parte al tentativo di colpo di stato, possono essere giustificati, l’assenza di criteri rigorosi e di prove di singoli comportamenti illeciti getta un’ombra sulla generica e ufficiale accusa di legami con i gruppi terroristi. Nonostante l’evidente arbitrarietà dei provvedimenti, non esiste alcuna valida procedura d’appello contro i licenziamenti nel pubblico impiego. La commissione incaricata a gennaio di riesaminare i casi manca d’indipendenza e di capacità d’azione efficace e oltretutto non è ancora operativa. “Se vogliono farti fuori dalle istituzioni, basta dire che sei un gülenista”, ha dichiarato un ex funzionario governativo.

 

(fonte Amnesty International)

 

 


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