Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

18/11/24 ore

Caso Matei, quel dovere di non gioire


  • Antonio Marulo

Vietato manifestare pubblicamente felicità e gioia per tutta la vita. Questa è la pena che andrebbe inflitta a chi si macchia di un delitto; altro che il carcere. La tesi ci è stata grosso modo propinata, a proposito del caso di Doina Matei, dal maestro di vita Massimo Gramellini, nella sua morale mattutina con cui si deliziano i lettori de 'La Stampa'.

 

Condannata per omicidio preterintenzionale di Vanessa Russo nel 2007, Doina Matei stava godendo del regime di semilibertà, dopo aver scontato nove anni di carcere dei sedici inflitti. Se non che, in un giorno di permesso premio, ella ha avuto l’ardire di farsi scattare delle foto “gioiose” e l’impudenza di postarle su Facebook.

 

Doina non aveva tenuto in debito conto il fatto che - come scrive Gramellini - “se ammazzi una persona, dovresti almeno avere il pudore di tenere per te le tue emozioni gioiose, senza ostentarle e tantomeno condividerle con chi patisce ancora le conseguenze del tuo delitto”.

 

Così, il giudice del tribunale di sorveglianza di Venezia, sull’onda del clamore moralista suscitato dalla pubblicazione delle immagini sugli organi di stampa, ha sospeso il provvedimento di semilibertà, "in attesa dell'udienza che si terrà entro 30 giorni dalla notifica", seguendo una logica che si fatica a comprendere. A meno che non si voglia dar retta all’indignato di regime su citato, secondo il quale si ha “il diritto di essere contenta, visto che la legge glielo consente…” (ma guarda un po’, ndr), …ma non il “diritto di mostrare la sua contentezza al mondo, e quindi anche ai parenti della vittima, attraverso un social network”. Farlo significa non avere la sensibilità tale da meritare lo sconto di pena e fa venire il “sospetto” ai professionisti delle buone maniere, nonché cantori delle pubbliche virtù e dei vizi privati, “che per lei la pena, oltre che breve, sia stata inutile”.

 

E allora ci si chiede – come fa il senatore Luigi Manconi -, una volta "sospesa l'applicazione dell'articolo 21 del regolamento penitenziario (che consente, scontata metà della pena, la possibilità di lavoro esterno diurno) per Doina Matei perché sorrideva, perché non sospendere direttamente l'articolo 27 della Costituzione che, al comma 3, prevede la 'rieducazione del condannato'? Ci risparmieremmo, così, tante discussioni oziose, insopportabili pippe garantiste, pruriginosi scrupoli umanitaristici e, soprattutto, l'idea stessa - così tediosa e sdolcinata - del riscatto sociale. Potremmo essere tutti più sereni e sorridenti". Compreso Massimo Gramellini, che tornerebbe così a parlar solo d’amore, come si confà a chi ha la presunzione di avere le physique du rôle.

 

 


Aggiungi commento