Nel 2007 uccise il suo aggressore sessuale, per questo è stata condannata a morte per impiccagione. L’esecuzione doveva avvenire il 30 settembre, ma è stata rinviata di 10 giorni: un po’ di tempo per sottrarre la 26enne Reyhaneh Jabbari dalle grinfie del boia iraniano.
Per Reyhaneh da giorni è scattata la mobilitazione internazionale, grazie anche alla diffusione mediante i social network. Il 29 settembre, racconta in un comunicato Amnesty International, “la madre ha scritto su Facebook che la figlia l'aveva chiamata per avvisarla dell'imminente trasferimento dalla prigione di Gharchak, nella contea di Varamin, provincia di Teheran, alla prigione di Raja'i Shahr per l'esecuzione della condanna a morte, la mattina successiva. Le autorità carcerarie di Raja'i Shahr, contattate dalla donna, hanno confermato che l'esecuzione era in programma e le hanno detto di recarsi presso la struttura, il 30 settembre, per ‘raccogliere il corpo’. L'esecuzione è stata rinviata e Reyhaneh Jabbari è ritornata nella prigione Gharchak, quello stesso giorno alle 11:30, probabilmente in risposta all'indignazione seguita al post di sua madre sull'imminente esecuzione”.
Reyhaneh Jabbari fu arrestata per l'uccisione di un ex funzionario del ministero dell'Intelligence, Morteza Abdolali Sarbandi. È stata detenuta in isolamento, senza poter vedere il suo avvocato e la sua famiglia per due mesi, durante i quali sarebbe stata torturata e maltrattata. Reyhaneh Jabbari è stata condannata a morte per qesas (riparazione) da un tribunale penale di Teheran nel 2009. La condanna a morte è stata confermata dalla Corte suprema nel marzo 2014.
Reyhaneh Jabbari ha ammesso di aver inferto una pugnalata sulla schiena dell'uomo, ma sostiene sia stato una reazione a un tentativo di stupro. Ha anche raccontato della presenza di una terza persona nell'abitazione, coinvolta nell'uccisione. Queste affermazioni, se confermate, potrebbero scagionarla, ma si ritiene che non vi siano state adeguate verifiche, sollevando molte domande sulle circostanze dell'omicidio.
Intanto, è scattata la campagna social: Su Twitter con l'hashtag #SaveReyhanehJabbari si chiede alle autorità di Teheran di fermare le esecuzione; su Facebook, dove la pagina dedicata a Reyhaneh è seguita da più di 7.500 iscritti e migliaia sono anche i messaggi di solidarietà che vengono pubblicati ogni giorno.
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