Sterilizzazione mediante pratiche cruente, isolamento di diversi giorni in gabbie, iniezioni di germi e virus patogeni per osservare le reazioni dell’organismo, ingestione forzata di quantità d’acqua salata tali da farli morire durante esperimenti di desalinizzazione.
Soprattutto l’orrore d’esperimenti inutili su cavie umane, perlopiù bambini gemelli, da parte di veri e propri macellai in camice bianco come il tristemente noto Mengele. Queste ed altre furono le atrocità riservate a rom e sinti in Europa durante le folli campagne razziste del terzo reich hitleriano.
Difficile stabilire quanti furono trucidati nei campi di concentramento tedeschi, perché, a differenza ad esempio degli ebrei, i membri di queste minoranze spesso non erano censiti.
Secondo lo studioso Ian Hancock, dell’Università del Texas, furono tra i cinquecentomila e il milione e mezzo i romanì sterminati. Per Sybil Hamilton, storica dello Holocaust Memorial Museum, è più plausibile che le vittime siano state dalle duecentoventimila alle cinquecentomila. Qualunque sia la cifra più vicina al vero si tratta comunque di numeri da capogiro, che lasciano sgomenti, impossibili da dimenticare.
Eppure è così: il Porajmos (o Porrajmos, “devastazione, grande divoramento” in lingua romanì), lo sterminio di Rom e Sinti, più comunemente chiamati zingari, da parte dei nazifascisti, mai citato nei processi per i crimini contro l’umanità come quello di Norimberga, dove nessuno si premurò d’invitare membri di queste comunità, continua ad essere confinato tra quegli stralci di verità storica relegati nel dimenticatoio che rendono significativamente lacunosa quella memoria che oggi, 27 gennaio 2014, ci si affanna a celebrare.
Fortunatamente, eventi come quello svoltosi ieri sera a Roma, presso la Casa Internazionale delle Donne in Via della Lungara, dal titolo “Samudaripen. Tutti morti. Memorie dello sterminio dimenticato di rom e sinti” a cura dell’Associazione 21 Luglio e dell’Associazione Sucar Drom, hanno certo l’indubbio merito di contribuire alla commemorazione di questa tragedia sottolineando nel contempo l’assurdità di certe politiche tuttora attuate nei confronti delle comunità rom e sinti in Italia. Politiche che continuano a ruotare intorno alla costruzione e mantenimento nel nostro paese dei famigerati “campi nomadi” in cui queste persone (spesso cittadini italiani e comunque, salvo rari casi di apolidia, per gran parte cittadini comunitari) vengono concentrate, socialmente escluse, segregate di fatto su base etnica.
Così ci sembra pleonastico oggi, ridondante, parlare di salvaguardia della memoria mentre l’Italia sembra dimenticare, nella continua dichiarazione di politiche securitarie e stati d’emergenza fortunatamente cassati dalla Corte Costituzionale e condannati dall’Europa, l’oscenità dei decreti di respingimento di rom e sinti alle frontiere seppure dotati di documenti o i campi di concentramento per zingari istituiti durante il regime fascista: Agnone (Isernia), Berra (Ferrara), Bojano (Campobasso), Bolzano, Ferramonti (Cosenza), Tossicìa (Teramo), Vinchitauro (Campobasso) e Perdasdefogu (Ogliastra). Luoghi tenebrosi, invivibili, in cui i membri di queste minoranze vivevano affamati, segregati, forse non eliminati fisicamente come nei lager dell’alleato germanico ma comunque costretti a forme estenuanti e rischiose di lavoro coatto (ad Agnone sembra che gli zingari fossero utilizzati per piazzare intorno al campo le mine che dovevano fermare l’avanzata degli alleati).
Realtà ai più poco note che solo recentemente cominciano ad affiorare grazie ad iniziative come “Memors. Il primo museo virtuale del Porrajmos in Italia”, progetto finanziato dall’Unione Europea, diretto e presentato dall’ottimo Luca Bravi (Università Telematica L. Da Vinci di Chieti), che ha come obiettivo proprio ricostruire storia e memoria della deportazione delle popolazioni sinte e rom all’interno dei campi di concentramento sparsi sul territorio Italiano, raccogliendo le preziose testimonianze dei sopravvissuti e dei loro discendenti.
“Il 27 gennaio sta diventando il giorno della falsa coscienza, della retorica. Il limite principale, e il grande equivoco è di non aver capito, prima di tutto, che questa giornata non è stata istituita solo per gli ebrei” - ha dichiarato Moni Ovadia intervenuto a sorpresa a conclusione dell’evento – “Nei lager nazisti sono morte tra gli undici e i tredici milioni di persone. Di questi 6 milioni sono ebrei. Ma 500mila erano rom e sinti, 3 milioni gli slavi e poi omosessuali, antifascisti, testimoni di Geova. Perché non si parla anche di loro?”
Già, perché? Eppure la domanda pertinente di Ovadia sembra cadere nel vuoto, nell’insignificanza prodotta dallo sconforto mentre scorrono le disturbanti immagini in alta definizione di “Terrapromessa”, documentario di Mario Leombruno e Luca Romano, sul “campo rom” di Masseria del Pozzo a Giugliano, in provincia di Napoli, dove l’amministrazione comunale ha trasferito oltre 400 persone, tra cui 250 bambini, sopra una discarica da cui fuoriescono gas tossici dannosi per la salute.
Semplicemente esistono perseguitati di serie B, figli di qualche dio minore cui non è solo negata la dignità della memoria storica, ma per i quali si intravede uno sconcertante filo di continuità tra passato, presente e futuro laddove l’insensibilità, la cecità, forse l’interesse a mantenere uno stato d’emergenza attorno al quale ruota un indotto d’economia non indifferente (quasi 70 milioni di euro spesi tra 2005 e 2011 solo nella capitale per la creazione e gestione dei cosiddetti “campi attrezzati”) creano un senso d’angoscia ed apprensione in chiunque abbia a cuore minimamente il rispetto dei diritti umani fondamentali.
«Preoccupante, ancora una volta, l’assenza delle istituzioni di Roma Capitale a iniziative che mirano, a partire dalla memoria, alla creazione di un dialogo e all’individuazione di soluzioni condivise», ha sottolineato l’Associazione 21 luglio nel comunicato stampa a seguito dell’iniziativa, ricordando come i vertici dell’amministrazione capitolina fossero stati invitati per tempo.
Preoccupante, certo, specie per chi non ha dimenticato le recenti dichiarazioni del sindaco di Roma a proposito di queste minoranze: “Roma dimostrerà di essere una città che accoglie ma che non accetta il disprezzo delle regole. bonificheremo le aree del lungotevere, miglioreremo la pista ciclabile, prepareremo degli accessi affinché le persone anziane e i bambini possano godere del parco della Magliana sul Tevere, ma allontaneremo da quegli insediamenti abusivi i rom”.
Gianni Carbotti, Camillo Maffia
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