Preoccupazione crescente in Europa per i diritti religiosi e spirituali, ma anche per libertà di coscienza e autodeterminazione: è quanto emerge dalla conferenza annuale di Soteria International, svoltasi il 10 dicembre a Copenaghen. Particolare importanza ha assunto la situazione italiana, soprattutto in seguito alle vicende giudiziarie legate al gruppo rumeno MISA Yoga, il cui leader Gregorian Bivolaru è rifugiato politico dal 2005. Il caso fa discutere per via dei legami fra movimenti anti-sette e persecuzione religiosa dentro, ma anche fuori dall’Italia.
“I governi stanno approvando nuove leggi in Europa, sostenendo di proteggere i cittadini dalla ‘manipolazione mentale’. La criminalizzazione colpisce in modo particolare le religioni minoritarie e i movimenti spirituali. La nostra democrazia si basa sull’autodeterminazione – la capacità e il diritto dell’individuo di decidere per se stesso. Le nuove leggi indicano che questa capacità è oggi minacciata. Ma gli insegnamenti spirituali sono la minaccia? La risposta è la criminalizzazione? Se la capacità di autodeterminazione degli individui è minacciata, non dovrebbe essere assicurata rafforzando la libertà di coscienza, piuttosto che tramite la criminalizzazione di alcuni pensieri o credenze?”, si domanda Soteria International.
Non è la prima volta che un incontro internazionale getta luce su questo scenario. Lo scorso 26 settembre, a Varsavia, la stessa associazione ha avuto modo di approfondire l’argomento all’interno del side-event in sede OSCE/ODIHR, dove l’Italia ha ricevuto tre raccomandazioni da ONG preoccupate per l’esistenza di un’apposita Squadra di Polizia Anti-sette.
Tale dipartimento, che collabora con referenti identificabili all’interno della discussa organizzazione europea denominata FECRIS, ma anche di gruppi cattolici, rischierebbe di costituire una minaccia per la serenità delle minoranze religiose sul territorio. Il side-event si è concentrato sulla persecuzione di MISA Yoga dopo il regime di Ceausescu, prendendo in esame, accanto a quella rumena, proprio la questione italiana.
La situazione delle minoranze religiose appare gravemente minata nell’esercizio dei loro diritti. Il crescente panico morale fomentato da gruppi anti-sette causa non solo l’etichettamento, accrescendone l’esclusione sociale, di alcuni gruppi spirituali e religiosi, ma anche odissee giudiziarie che si sono rivelate, col passare degli anni, tanto infondate quanto dannose per l’equilibrio delle confessioni e dei loro membri, oltre che del dialogo fra credenti.
Nel corso della conferenza di Copenaghen vari commentatori, provenienti da paesi diversi dell’Unione Europea, hanno sottolineato il pericolo che si cela dietro la propaganda stigmatizzante che colpisce le cosiddette “sette”: la finalità politica della introduzione del reato di manipolazione mentale, nuova veste di quel reato di plagio che la Corte costituzionale italiana abrogò, nel 1981, dopo gli scandali giudiziari di Aldo Braibanti e di padre Emilio Grasso.
Da un lato, l’aggravarsi della situazione europea è dovuta al tentativo di esportazione dell’infausto modello francese, quella FECRIS, organismo internazionale ma finanziato in buona misura dallo stesso governo francese, di cui i principali collaboratori della polizia, anche nel nostro paese, sono membri ufficiali. Un modello sicuramente poco consigliabile, nonostante i pareri di sedicenti esperti, dato che è costato alla Francia varie condanne di Strasburgo proprio per via del clima d’intolleranza religiosa.
Dall’altro lato, il caso italiano è frutto di un percorso trentennale, dal tentativo di alcuni parlamentari di reintrodurre il reato di plagio subito dopo la sua abrogazione alla reazione di una parte della Chiesa cattolica all’abolizione del Concordato, e quindi alla perdita di quello status di religione di Stato che aveva di fatto scongiurato il “pericolo” dell’uguaglianza religiosa, sancita dalla Costituzione, per oltre trent’anni; un percorso che ha portato, nel 2006, alla creazione dell’apposito dipartimento di polizia anti-sette che ha suscitato non solo le recenti perplessità in sede OSCE, ma anche tre interrogazioni parlamentari nel nostro paese.
La costituzionalità stessa di questo dipartimento, infatti, è stata più volte messa in discussione. Le interpellanze, di colore politico trasversale, che sono state poste nel corso delle ultime legislature senza mai aver ricevuto risposta, ponevano dubbi sull’inevitabile interrogativo che sorge nel constatare che un’arbitraria divisione tra religione e “setta” metta alcuni gruppi religiosi sotto l’osservazione speciale delle forze dell’ordine, in barba all’uguaglianza e alle pari opportunità delle confessioni.
Il Radicale Marco Perduca, un anno fa, s’interrogava anche sulla salute stessa del principio di laicità, dato che il solo referente ufficiale della SAS, in base alla circolare che l’ha istituita, è un gruppo cattolico. Parlare di minaccia alla libertà di religione, pertanto, appare abbastanza giustificato, se si considera che appartenenti a una confessione maggioritaria vengono interpellati dalla polizia dello Stato laico per sapere se associazioni religiose “concorrenziali” sono da considerarsi sette pericolose o inoffensivi gruppi di preghiera.
“La nostra Costituzione non tollera limitazioni alla libertà di culto, così come la Carta dei Diritti dell’Uomo, e il Consiglio d’Europa ha raccomandato espressamente di non utilizzare il termine 'sette', che ha assunto un connotato decisamente dispregiativo. A quanto ci risulta la Squadra ha compiuto numerosi errori giudiziari, che hanno suscitato un clamore inutile e dannoso, mentre era coordinata prevalentemente dal Forum Anti-sette: sembra però che le associazioni che compongono questo Forum abbiano una finalità politica precisa, la reintroduzione del reato di plagio di epoca fascista, contro la quale si schierò, isolato, Marco Pannella nel noto (e atroce) caso Braibanti, e che fu poi abolito per incostituzionalità”, ricordava Perduca, per poi precisare:
“Data l’ambiguità di alcuni elementi, come il fatto che il principale consulente della Squadra per il monitoraggio dei culti minoritari ci risulta essere un prete cattolico, e la difficoltà della crisi che ha causato di recente gli ennesimi tagli alla Polizia di Stato, chiediamo al governo di chiarire i costi di questo dipartimento, e la competenza accademica dei suoi referenti. Se l’attività di questa Squadra dovesse risultare non necessaria o non compatibile con i principi costituzionali in merito alla tolleranza religiosa, non sarebbe meglio dirottarne i fondi a settori di indiscutibile utilità sociale delle forze dell’ordine, come quello penitenziario”?
Accanto allo stupore internazionale che simili contraddizioni non possono non produrre nel corso dei dibattiti sui diritti religiosi, colpisce il silenzio che circonda la dettagliata ricostruzione, pubblicata da un sito Internet anonimo, www.liberocredo.org, del quadro che definisce i rapporti tra movimenti anti-sette, forze dell’ordine, istituzioni e politica. I legami che emergono dal materiale privato messo in rete sono tutt’altro che trasparenti.
In breve – sebbene tale sito andrebbe studiato a fondo, perché contiene vicende e osservazioni davvero singolari –, analizzando i dispacci e le conversazioni riservate, unite tra loro dalle osservazioni puntuali del misterioso (o misteriosi?) creatore, sembra che l’influenza di alcuni gruppi anti-sette sulla vita democratica del nostro paese, perlomeno in materia di pluralismo religioso, sia stata tutt’altro che marginale; e, soprattutto, tutt’altro che lecita, tanto che c’è chi, sempre in sede OSCE/ODIHR, si è domandato se non sia il caso che l’Italia avvii un’apposita commissione d’inchiesta per chiarire la gravità delle accuse lanciate da questa sorta di Wikileaks del mondo anti-cult.
“Sono qui per segnalare all’OSCE, che opera per assicurare la pace, la democrazia e la stabilità, il pericolo che, in Italia, si verifichino limitazioni o violazioni della libertà religiosa delle minoranze e per chiedere alle autorità italiane:
- di intraprendere un’indagine, anche attraverso un’apposita commissione d’inchiesta, per verificare la costituzionalità e la legalità del Dipartimento di Polizia Anti-Sette e la correttezza del suo operato, specialmente in relazione ai consulenti di cui si serve per monitorare i gruppi religiosi e spirituali;
- di verificare se la Squadra di Polizia Anti-Sette, nelle sue finalità e, attraverso il suo operato, non violi il diritto costituzionalmente garantito di professare la propria religione e il proprio credo;
- di intraprendere, nei confronti delle minoranze religiose e spirituali presenti in Italia strategie di accoglienza e dialogo costruttivo che promuovano l’integrazione e la convivenza civile”.
Così lo statement, rivolto all’assemblea plenaria della citata conferenza OSCE, della dottoressa Di Marzio, esperta di nuovi movimenti religiosi e referente italiana di Human Rights Without Frontiers, invitata al side-event per esporre la delicata condizione dei NMR nel nostro paese. Ed è proprio il caso della dottoressa Di Marzio a suscitare crescente curiosità negli attivisti e nelle associazioni che si battono in Europa per la libertà di religione e credo.
In base a quanto pubblicato dal sito Libero Credo, vi sarebbero alcuni settori che potrebbero essere stati addirittura strumenti nelle mani di gruppi anti-sette per mettere a tacere la studiosa in quanto “dissidente” nel noto caso Arkeon: l’esperta di nuovi movimenti religiosi ricevette in effetti un avviso di garanzia nel 2006, successivamente archiviato, per aver permesso agli appartenenti e ai fuoriusciti della presunta “psico-setta” (rivelatasi poi clamorosamente infondata, in base alla sentenza di primo grado) di comunicare tra loro, mettendo a disposizione il suo sito Internet.
Lì aveva pubblicato una sua prima impressione di Arkeon, all’epoca sotto indagine della Digos, in cui giungeva alla conclusione che il gruppo religioso non presentava le caratteristiche dei gruppi settari: in quell’occasione, il sito Internet fu chiuso e la Di Marzio non ebbe la possibilità di completare il suo studio sul gruppo Arkeon, oggi sciolto dopo le sofferenze provocate dall’inutile quanto ingiustificata gogna mediatica che l’aveva colpito, che stava redigendo per l’Enciclopedia delle Religioni, di cui è curatrice, edita dal CESNUR.
Il caso della Di Marzio è divenuto prevedibilmente emblematico, nel dibattito internazionale, della pericolosa e bizzarra situazione che circonda il pluralismo religioso nell’ambito degli effetti che i movimenti anti-cult esercitano sulla vita delle minoranze; ma se fosse vero quanto pubblicato da Libero Credo, allora saremmo davanti a uno scenario sbalorditivo, in cui sarebbe sufficiente, per un privato cittadino, arrivare a presiedere un’associazione che afferma di combattere le “sette” per avere il potere, con un colpo di telefono, di scatenare persecuzioni giudiziarie contro chi intralcia i suoi strampalati piani di creazione artificiale del panico morale, volti da un lato alla reintroduzione del reato di plagio e dall’altro alla sopravvivenza della propria autoreferenzialità!
Naturalmente, non sappiamo se le preoccupazioni per la democrazia che i gruppi anti-sette stanno suscitando in Europa siano gravi fino a questo punto: siamo certi, però, di vivere in un’epoca caratterizzata dalla globalizzazione e da un crescente multiculturalismo, in cui l’utopia di matrice colonialista della fissazione di standard culturali a cui i popoli immigrati avrebbero dovuto sacrificare le proprie culture e tradizioni sta rapidamente naufragando.
Pertanto, la creazione di un modello culturale che vede un islamico convertirsi al cattolicesimo e ottenere, per questo, un maggiore status sociale; e, per contro, un cattolico entrare in un gruppo spirituale di matrice induista o buddhista per vedersi additato come membro “plagiato” di una pericolosa setta, rappresenta l’ideazione anacronistica di una “griglia valutativa” in cui è il pregiudizio a fare da padrone, mentre i diritti religiosi, con la rilevanza sociale e culturale che rappresentano nell’obiettivo della convivenza civile, vengono chiaramente calpestati.
La necessità di chiarire aspetti così controversi dei rapporti tra Stato e minoranze religiose si fa dunque sempre più impellente: fino ad oggi, però, i governi tacciono, e un nuovo, ennesimo DDL per l’introduzione del reato di manipolazione mentale aspetta ancora una volta di essere calendarizzato, nella speranza, purtroppo, per alcuni, di vedere di nuovo in Italia una norma liberticida dai natali fascisti, in virtù forse di quella nostalgia che, nonostante torrenti di retorica, non abbandona mai del tutto il popolo italiano, all’interno del quale c’è sempre qualche buon cittadino pronto a lottare per la reintroduzione del reato di plagio e, a giudicare dal caso di Marzio, anche del reato di opinione.
Camillo Maffia
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