Alla fine ce l'hanno fatta: le associazioni religiose contrarie alla depenalizzazione di quel “reato contro natura”, l'omosessualità, contemplato nella 'Sezione 377' del Codice penale indiano – una legge risalente al periodo coloniale britannico – hanno ottenuto quanto richiesto.
La Corte suprema dell'India ha infatti annullato la sentenza con cui un tribunale di New Delhi nel 2009 aveva legalizzato i rapporti sessuali tra gli adulti gay consenzienti, ripristinando nuovamente le condanne contro gli omosessuali, punibili con 10 anni di carcere, o con l'ergastolo nei casi ritenuti di particolare gravità.
La decisione della Corte suprema, secondo cui spetta al parlamento legiferare sulla questione, giunge a seguito di numerose petizioni e ricorsi presentati in questi quattro anni da alcuni gruppi religiosi cristiani, musulmani e indù, convinti della necessità di criminalizzare “simili atti illegali, immorali e contrari all'ethos della cultura indiana”.
“La Corte Suprema ha confermato le tradizioni centenarie dell’India, non sta reprimendo i diritti dei cittadini - ha spiegato un soddisfatto Zafaryab Jilani, membro dell'All India Muslim Personal Law Board (organizzazione in difesa della parziale applicazione della sharia in India) - ma ha compreso il credo e i valori della grande maggioranza del paese”.
Immediata anche la reazione dei gruppi a favore dei diritti degli omosessuali e della comunità gay indiana, che hanno definito il verdetto “deludente” e “un passo indietro di molti anni”.
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