“Prendere in giro un leader arabo che ha proclamato di avere preso contatto con Allah centinaia di anni fa e di averne ricevuto benefici politici, finanziari e sessuali non è un discorso d'odio: è un test della libertà di espressione a livello più o meno da scuola materna”.
Un 'test' che però Sevan Nisanyan, 57enne scrittore turco di origini armene, non ha evidentemente superato, vedendosi condannato da un tribunale di Istanbul a 13 mesi di carcere da scontare senza attenuanti per avere ironizzato su Maometto.
Sulle orme del 'collega' Fazil Say, celebre compositore condannato lo scorso mese a 10 mesi con la condizionale per alcuni tweet considerati blasfemi, Nisanyan è accusato di “offesa pubblica ai valori religiosi di una parte di popolazione” per aver pubblicato sul suo blog il testo di cui sopra, intitolato 'Necessità di combattere il discorso dell'odio'.
Parole che lo scrittore ha nuovamente condiviso pubblicamente all'indomani della condanna, contro cui ha deciso di fare ricorso. Come il pianista Say, anche Nisanyan pare infatti convinto che il processo subito sia uan vera e propria “causa politica” perseguita dal partito islamico Akp del premier Recep Tayyip Erdogan, intenzionato, secondo l'opposizione laica, a reislamizzare il Paese.
Certo è che le due condanne a distanza ravvicinata di intellettuali laici apertamente ostili al potere non depongono a favore di una Turchia candidata ad entrare nell'Unione europea.
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