“Lei non ha una bambina? Che cosa farebbe se sua figlia avesse subito tutto ciò? Che ne è della mia vita?”. Il 'tutto ciò' significava stupro, violenza di branco, abuso sessuale, minacce, ricatti; l'ultima domanda, invece, significava rassegnazione, paura, rabbia, incredulità, e a porla al ministro della Giustizia turco è stata una bambina.
Un passo indietro di poche settimane e siamo lì, a Mardin, nell'Anatolia sud-orientale. N.C. ha dodici anni e per 7 mesi è stata violentata da 26 uomini, maestri, militari, professionisti a cui la ragazzina è stata data in pasto da due donne. Poi la fuga, la denuncia, 23 arresti e il processo: qui la colpa attribuita al branco è di aver fatto sesso con una minorenne, non di averla stuprata, perché lei, secondo i giudici, era “consenziente”.
La Corte di Mardin condanna perciò gli imputati (rimessi nel frattempo in libertà alla prima udienza del processo) a pene da uno a 6 anni di carcere, ma la sentenza viene poi annullata dalla Corte Suprema d'Appello che ordina la ripetizione del processo.
E torniamo a oggi. O.Y. ha tredici anni, vive con la madre divorziata a Golcuk, nella parte occidentale della Turchia, e 29 uomini, tra cui un poliziotto, hanno ripetutamente violato il suo corpo, la sua esistenza. Un'atrocità taciuta per paura e infine scoperta e denunciata da un professore della scuola dove la piccola studiava. Ora si attende il processo.
Ma intanto la terra della mezzaluna deve fare i conti con una piaga purulenta e infetta: quella di una bestialità fuori controllo. Pochi (ma chiari) i dati: i reati di natura sessuale nel paese sono aumentati del 400% negli ultimi 10 anni e nel 2011 sono state registrate 33 mila denunce, contro le 8 mila nel 2002.
Numeri sbalorditivi, raccrapiccianti, simboli solo parzialmente svelati di quanto la società turca disprezzi e calpesti le sue donne e, più di ogni altra cosa, il suo futuro. Perchè è nei grembi mortalmente traumatizzati delle proprie bambine che, prima di ogni altra cosa, muore la speranza. (F.U.)
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