“E’ tempo di cambiare approccio, a partire da una riforma della legge sulla cittadinanza (…) gli amici dei nostri figli non possono non essere italiani. (…) è una questione di civiltà” - Le parole di Laura Boldrini nel suo primo discorso da Presidente della Camera, hanno rilanciato una reiterata questione che assume toni tanto più anacronistici quanto più rimane irrisolta.
Il problema sta nel fatto che la legge italiana n. 91 del 1992 àncora la concessione della cittadinanza al principio dello ius sanguinis e non a quello dello ius soli. Il nostro ordinamento quindi focalizza l’attenzione sul legame di sangue e sul diritto di filiazione. Per questo, il minore nato all’estero da genitori italiani è riconosciuto cittadino alla stessa stregua di colui che nasce in Italia da genitori italiani.
Lo stesso vale per il minore che abbia un genitore italiano e uno straniero. Quello italiano fra i due infatti trasmette automaticamente la cittadinanza, a prescindere dal luogo in cui sia nato il figlio.
Ma per i figli di genitori entrambi immigrati, il cammino è impervio e non premia chi nasce, si forma, cresce e vive con gli altri sul territorio della Repubblica. In questo caso il minore deve aver risieduto in Italia senza interruzioni per diciotto anni e presentare al Comune di residenza, entro il compimento del diciannovesimo anno, una dichiarazione nella quale si manifesti la volontà di diventare italiano. Requisito fondamentale è inoltre il permesso di soggiorno, annotato su quello dei genitori, dalla nascita e la registrazione all’anagrafe del comune di residenza.
Un altro percorso è quello sancito dall’articolo 9 della legge, secondo il quale possono richiedere la cittadinanza i nati sul territorio che abbiano risieduto in Italia per almeno tre anni. In questo caso la persona dovrà essere maggiorenne e rispondere a certi requisiti – come l’essere titolare di reddito - che raramente chi è appena maggiorenne è in grado di soddisfare. Quest’alternativa lascia perplessi sulla possibilità che venga utilizzata dai giovani e inoltre rivela un’ampia discrezionalità dell’autorità decidente.
Oltre al principio dello ius sanguinis, esiste però in Italia anche qualche forma “impura” di ius soli. L’articolo 1 della legge 91 prevede infatti che il minore nato in Italia da genitori apolidi o ignoti ottenga automaticamente la cittadinanza, così come chi nasce in Italia e non possa ricevere la cittadinanza dei genitori, secondo la legge del loro paese di origine. E’ il caso ad esempio di un bambino figlio di madre egiziana o marocchina e padre ignoto; in questi casi infatti, la legge del paese di origine della madre prevede la trasmissione dello status di cittadino solo per via paterna.
Anche le normative di alcuni paesi sudamericani sono restrittive in questo senso, la cittadinanza infatti risulta strettamente legata alla nascita sul territorio. Per questo motivo, un bambino nato in Italia da genitori cileni o cubani, non può ricevere la loro cittadinanza, ma acquista quella italiana.
Per i nati all’estero si aprono diverse strade a seconda che il minore abbia in Italia i propri genitori (stranieri) o sia arrivato in Italia da solo. Nel primo caso il minore diventa cittadino in seguito alla naturalizzazione di almeno un genitore (art.14), quando conviva con lui in modo stabile e comprovabile con adeguata documentazione. Il concetto di convivenza può tuttavia essere di non facile determinazione, come nel caso di coniugi che vivano separati per motivi di lavoro. Per questo motivo e perché l’iter di naturalizzazione degli adulti non è semplice e richiede un lasso di tempo molto lungo, questa modalità di acquisizione della cittadinanza non ha avuto una forte valenza statistica nel tempo.
Nel caso invece del minore che sia arrivato in Italia da solo, l’unica strada percorribile per diventare cittadino è quella della naturalizzazione, una volta raggiunta la maggiore età, secondo le procedure previste per l’adulto. Questo può suscitare perplessità se si considera che, in base alla legge, le autorità dovrebbero garantire specifiche misure di accoglienza ai minori non accompagnati e favorire il processo di integrazione.
Una riforma della legge 91 che ha ormai compiuto più di vent’anni, vorrebbe dire la soluzione di una serie di problematiche per i giovani figli di genitori immigrati: smettere di essere “cittadini di serie B”, divenendo titolari di diritto di voto oltre che del diritto a essere eletti; accedere ai concorsi pubblici o agli ordini professionali; muoversi liberamente all'interno dei Paesi della comunità europea; non dover affannosamente dimostrare, dopo i diciotto anni, di avere un reddito minimo a ogni rinnovo del permesso di soggiorno.
Oltre a tutti questi problemi materiali, c’è un aspetto fondamentale da sottolineare: quello umano. Nascere o crescere in un Paese significa sentirsi parte di quella cultura, avere quella lingua madre, aver frequentato quelle scuole, con quel programma formativo; significa sentirselo dentro, quel Paese. E l'essere giudicati stranieri in casa propria è una condizione che nessuno vorrebbe mai vivere.
La questione della cittadinanza presenta caratteristiche specifiche a seconda del Paese che venga preso in considerazione, con elementi di contatto o evidenti discordanze rispetto agli altri.
La legge francese attribuisce la cittadinanza al figlio, legittimo o naturale, nato in Francia quando almeno uno dei due genitori vi sia nato, qualunque sia la sua cittadinanza. La semplice nascita nel territorio nazionale non rileva ai fini dell’attribuzione della cittadinanza se non per i minori figli di apolidi o di genitori sconosciuti o che non trasmettono la loro nazionalità. Ogni bambino nato in Francia da genitori stranieri acquisisce automaticamente la cittadinanza francese al momento della maggiore età se sussistono alcuni vincoli temporali in riferimento alla sua residenza sul territorio della Repubblica. Inoltre, il minore che sia menzionato nel decreto di naturalizzazione del genitore o nella sua dichiarazione di acquisizione, diventa francese di pieno diritto, purché abbia la stessa residenza abituale del genitore in questione.
Per quanto riguarda la Germania: dal 1° gennaio 2000 acquisiscono automaticamente la cittadinanza tedesca anche i figli di stranieri che nascono sul territorio della Repubblica Federale (ius soli o Geburtsortsprinzip). Devono tuttavia sussistere alcuni vincoli temporali relativi alla residenza di almeno uno dei genitori e al godimento del diritto di soggiorno a tempo indeterminato. Inoltre, il minore che non sia nato in Germania può acquisire la cittadinanza tedesca per naturalizzazione contemporaneamente al genitore che ne abbia fatto richiesta. Anche in questo caso la residenza sul territorio tedesco è un requisito indispensabile per entrambi.
Nel Regno Unito lo ius soli opera quale criterio abilitativo per il conferimento della cittadinanza allo straniero se nato da genitore residente nello Stato (e in regola con le norme sull’immigrazione) o se residente nel Paese per i dieci anni successivi alla nascita, mentre i tempi della residenza finalizzata alla naturalizzazione ammontano a cinque anni. Dal 2009, la legislazione britannica in materia di conferimento della cittadinanza agli immigrati sta subendo una revisione nel segno di una rigorosa valorizzazione del profilo qualitativo della presenza dello straniero sul territorio nazionale.
Negli Stati Uniti i figli di immigrati possono acquisire la cittadinanza per ius soli, se nascono quindi sul territorio americano. Un altro modo per ottenere la cittadinanza è attraverso la richiesta di naturalizzazione che può essere presentata da immigrati che abbiano compiuto diciotto anni e che siano legalmente residenti negli Usa da almeno cinque anni. In questo caso è necessario essere in possesso di un permesso di soggiorno permanente, una fedina penale pulita oltre a una discreta conoscenza orale e scritta della lingua inglese, dei fondamenti della storia e del sistema politico americano.
Il Presidente americano Barack Obama ha rilanciato il suo impegno per una grande riforma in tema di immigrazione, soprattutto in riferimento alla necessità di costruire una via chiara per gli undici milioni di immigrati che vivono in America senza documenti. “It’s now”, ha detto: ora non si può attendere. A queste parole si richiama Laura Boldrini nelle sue dichiarazioni sulla necessità di estendere la cittadinanza italiana ai figli di immigrati, ribadendo: “Perché? Perché è giusto”.
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