'Mani che fan cose che non si raccontano, altrimenti le altre mani chissà cosa pensano'. Mani che poi firmano il futuro strappandolo alla libertà, mani preoccupate che “la valanga di propaganda gay che ricade ogni giorno” sui loro figli potrebbe contaminarne le menti, incapaci di “valutare criticamente” cosa è bene e cosa non lo è.
Per questo motivo la Russia post-sovietica di Putin ha pronunciato il primo sì alla legge che proibisce la “promozione” dell'omosessualità tra i minori, vietando di fatto qualsiasi manifestazione o attività pubblica a sostegno dei gay. La proposta, approvata in prima lettura venerdì dalla Duma con 388 voti a favore, uno contrario e un'astensione, deve ora passare al vaglio della Camera Alta del Parlamento russo e poi del presidente Vladimir Putin.
Piccoli e quasi inconsistenti nodi burocratici nel pettine dai denti larghi impugnato dalla mano ipocrita del furente difensore della fede ortodossa che, forte del fedele appoggio della sua Chiesa, conduce la Russia del terzo millennio in una nuova guerra santa contro gli usurpatori della “moralità nazionale”.
Depenalizzata nel 1993, l'omosessualità nella terra degli zar è adesso un crimine, lettera scarlatta fluorescente nella notte buia della comunità Lgbt russa, costretta a nascondersi 'sulla faccia oscura di una luna' che da rossa sembra essere diventata totalmente nera.
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