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05/12/25 ore

Dal 4 agosto torna un ‘nuovo’ Oreste: Machìa riscrive Euripide. Il tragico senza catarsi



di Giulia Anzani

 

C’è una domanda che non smette mai di bruciare: cosa resta dell’uomo quando il dio si volta altrove?

 

Debutta il 4 agosto al FESTIV’ALBA di Alba Fucens, l’Orestedi Euripide, nell’adattamento e con la regia di Alessandro Machìa. Un viaggio nei territori più oscuri del tragico, dove la libertà si confonde con il delirio e ogni scelta si misura con il peso dell’abbandono.

 

È un Oreste che parla al nostro tempo, anzi lo trafigge: nato nel 408 a.C., scritto da Euripide in un’Atene stremata, torna oggi in scena in una rilettura che scava — più che nella mitologia — nella condizione umana. E lo fa con voce netta, poetica e implacabile: quella di Machìa, pedagogo teatrale, regista e fondatore della Compagnai Zerkalo, tra i massimi esperti italiani dell’opera di Jon Fosse, Premio Nobel 2023.

 

La produzione è firmata Làros di Gino Caudai e Compagnia Zerkalo, e dopo la prima nazionale al FESTIV’ALBA, lo spettacolo proseguirà la tournée estiva il 12 agosto al Platus Festival di Sarsina e il 30 agosto al Tindari Festival.

 

In scena, Marco Imparato è un Oreste allucinato e febbrile, colpevole e disperato, figlio di un’epoca — la nostra? — in cui la giustizia altro non è che una promessa disattesa. Accanto a lui, Pino Quartullo dà voce al dio Apollo e a Tindaro, incarnando la distanza glaciale degli dèi e l’ambiguità pavida del potere. Con loro Giulio Forges Davanzati (Pilade), Alessandra Fallucchi (Elettra), Claudio Mazzenga (Menelao), Silvia Degrandi (Elena), Alessia Ferrero (Ermione), Tommaso Garrè (Messaggero e Frigio) e Valeria Cimaglia (Coro).

 

Tutto si muove all’interno di uno spazio rarefatto, spoglio, quasi metafisico: la scena è curata da Annalisa Di Piero, le luci da Giuseppe Filipponio, il suono da Giorgio Bertinelli. Un paesaggio più mentale che fisico, in cui si aggirano le rovine della coscienza. 

 

Quello di Euripide non è un finale ma una resa dei conti”, scrive Machìa nelle note di regia. “Apollo interviene, ma non redime. La sua è una pace imposta, fittizia. È la libertà a essere posta sotto accusa. E con essa, l’umano”.

 

Questa non è una tragedia antica da museo: Oreste è un campo di battaglia interiore, un grido che ancora ci riguarda. Machìa ne fa un teatro che non consola ma smuove, che non pacifica ma apre.

 

E allora: è ancora possibile scegliere? O siamo solo il frutto del sangue che ci ha preceduti, delle colpe che ci abitano?

 

Oreste non si chiude. Non c’è catarsi, ma solo una domanda che insiste e continua a vibrare, anche quando cala il sipario e la platea torna al silenzio. S’insinua nella crepa aperta tra destino e scelta.

 

(foto del cast)

 

APPENDICE

 

Note di regia: 

 

Rappresentato per la prima volta nel 408 a.C. in un’Atene logorata dalla guerra e ormai vicina alla sconfitta definitiva, l’Oreste di Euripide è la libera e corrosiva rilettura di uno dei miti più rappresentati nel teatro tragico. Oreste, braccato dalle Erinni e preda dei rimorsi per il matricidio commesso, viene condannato a morte dall’assemblea degli Argivi. Abbandonato al suo destino dal dio Apollo - che l’aveva spinto al delitto - e dal pavido zio Menelao, che ritorna vanesio e trionfatore fingendosi estraneo a ogni responsabilità; perseguitato dalle Erinni e in preda al deliquio, in uno stato di allucinazione e di profonda prostrazione psichica, Oreste medita una sanguinaria vendetta su Elena e Menelao – forse l’unico atto totalmente libero e pienamente cosciente del giovane figlio di Agamennone. Ma non riuscirà a portare a termine il suo piano omicidiario, il suo gesto di libertà, per il bizzarro ed estremo intervento di Apollo, che imporrà la pace tra il giovane matricida e Menelao, divinizzando beffardamente Elena, la causa di tutti i mali tra greci e troiani.

 

Vicenda cupa e angosciosa dal finale solo apparentemente lieto, Oreste, oltre a essere una delle più riuscite prove drammaturgiche di Euripide, è una vera e propria indagine sul sacro e sul divino coi mezzi della tragedia. Qui, ancor più che nell’Ifigenia in Aulide, Euripide ingaggia un corpo a corpo con le divinità olimpiche, facendo emergere la loro insufficienza e la necessità di un ordine superiore, di una Giustizia: sembra spingere contro le pareti del tragico, sembra volerlo mettere in discussione, decostruire un genere, una tradizione che gli arriva dal modello soprattutto eschileo. Prova ne è la convenzionalità del deus ex machina euripideo - qui ancora più artificioso che nelle altre sue tragedie - che interviene nel momento di più alto parossismo per stabilire una pace solo formale e perciò molto poco credibile.

 

È proprio l’artificiosità della soluzione finale euripidea a rivelare da un lato la distanza siderale del dio, la sua differenza ontologica rispetto agli umani; dall’altro l’impossibilità di ogni conciliazione e l’illusione della catarsi, che qui appare “bloccata” proprio dalla pervasività del tragico, connaturato all’umano.

 

A rimanere allora, è l’uomo, abbandonato alle sue scelte e alla sua coscienza. L’irruzione del dio Apollo che ferma Oreste e il suo piano omicidiario, è un gesto di umiliazione dell’umano a cui il Dio non consente nulla di veramente libero, neanche nel male. Euripide anticipa così – per contrasto e in maniera vertiginosa - un tema che si affaccerà soltanto col cristianesimo per poi diventare il tema par excellence della modernità: la libertà.

Alessandro Machìa

 

 

  

 

Alessandro Machìa è regista, pedagogo teatrale e fondatore della Compagnia Zerkalo, riconosciuta dal MiC all’interno del FUS. Laureato in Filosofia, è tra i massimi esperti italiani dell’opera di Jon Fosse (Premio Nobel 2023), autore a cui ha dedicato studi, regie e pubblicazioni accademiche.

Ha collaborato con registi come Giancarlo SepeMarco Tullio GiordanaMario Missiroli e attori del calibro di Giorgio AlbertazziElisabetta PozziEnrico Lo VersoMascia MusyPaolo Bonacelli.

La sua ricerca registica indaga il rapporto tra parola, silenzio e verità, in una forma di teatro poetico e popolare, che intreccia sottrazione, presenza e tensione spirituale.

 

 

 

ORESTE

di EURIPIDE

 

ADATTAMENTO E REGIA di ALESSANDRO MACHÌA

 

con

TINDARO/APOLLO PINO QUARTULLO

ORESTE MARCO IMPARATO

PILADE GIULIO FORGES DAVANZATI

ELETTRA ALESSANDRA FALLUCCHI

MENELAO CLAUDIO MAZZENGA

ELENA SILVIA DEGRANDI

ERMIONE ALESSIA FERRERO MESSAGGERO/FRIGIO TOMMASO GARRÉ

CORO VALERIA CIMAGLIA

LUCI: GIUSEPPE FILIPPONIO | SCENE E COSTUMI: ANNALISA DI PIERO 

| SUONO: GIORGIO BERTINELLI

AIUTO REGIA: TOMMASO GARRÉ | ASSISTENTE ALLA REGIA: ADELE DI BELLA 

| UFFICIO STAMPA: NICOLA CONTICELLO e MARCO GIOVANNONE

Produzione LÀROS DI GINO CAUDAI e COMPAGNIA ZERKALO

 

 


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