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22/11/24 ore

“La Traviata” di Giuseppe Verdi incanta il pubblico del Teatro San Carlo di Napoli



di Regina Picozzi

 

Lo scorso 14 luglio è tornato sul palcoscenico del Teatro San Carlo di Napoli, in programmazione fino al prossimo 30 luglio, uno dei titoli più amati dal pubblico di tutti i tempi: “La Traviata” di Giuseppe Verdi, capolavoro in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave, incentrato sul dramma de “La signora delle camelie” di Alexandre Dumas figlio, la cui prima rappresentazione risale addirittura ad oltre 170 anni fa.

 

Le camelie erano molto amate dalla protagonista del romanzo di Dumas, il quale aveva preso ispirazione dalla tragica storia della sua amante, una cortigiana francese realmente esistita di nome Marie Duplessis. All’inizio dell’opera, infatti, è proprio una camelia che Violetta porge ad Alfredo in risposta alla sua dichiarazione d’amore, con la promessa che si sarebbero rivisti all’avvenuto appassire del fiore, simbolo orientale dell’eterna devozione tra gli innamorati.

 

Con un’edizione particolarmente toccante, per la regia di Lorenzo Amato e la direzione di Giacomo Sagripanti, lo spettacolo ha visto esibirsi cantanti di altissima levatura, che hanno lentamente stregato i presenti avvolgendoli in un’atmosfera fortemente simbolica e a tratti onirica, quasi “sospesa” tra realtà ed illusione.

 

Un’opera potente, viscerale, capace di trascinare gli animi in continue oscillazioni, in vortici di emozioni contrastanti, che sono poi lo specchio degli eterni conflitti dell’essere umano. Protagonista assoluto è l’Amore, in tutta la sua straordinaria contraddittorietà, capace di elevarci come a poter toccare il cielo e subito dopo di portarci giù, negli abissi della solitudine e della disperazione. 

 

Ne parla chiaramente Alfredo, interpretato da un lodevole Kang Wang, che ben esprime come, dal giorno in cui ha incontrato Violetta, abbia vissuto proprio “.. d’ignoto amor. Di quell’amor ch’è palpito dell’universo intero. Misterioso, altero. Croce e delizia al cor”, in un binomio vita-morte da cui tutta la storia costantemente risulta caratterizzata. 

 

Il dramma di Violetta, al cui personaggio dona la voce, splendida, la raffinata soprano Marina Rebeka, è il dramma dell’umanità intera, ogni qual volta il sentimento che muove il mondo si ritrovi a venire ostacolato, rinnegato, ingiustamente ferito. Alla musica il delicato compito di comunicare questo straziante contrasto tra passione e dolore, desiderio e rinuncia.

 


 

“La Traviata” ci racconta, in fondo, la storia di ognuno di noi quando si trovi in balìa di un sentimento autentico, viscerale, imponente, che alla fine.. tutto può. 

 

Violetta sceglie l’Amore e sembra volerci ricordare che nel suo nome ciò che si lascia non sia mai sacrificio, perché non c’è limite al sacrificio stesso se si scopre di amare venendo riamati.

 

Violetta sceglie l’Amore, sempre. Quando abbandona la sua vita agiata per seguirlo, quando si schiera contro una società borghese capace solo di giudicare - così lontana dall’interessarsi realmente a capire, quando lascia Alfredo su richiesta del padre, interpretato magistralmente da Luca Salsi, che rappresenta tristemente il moralismo di un’epoca e che troppo tardi arriva a comprendere il proprio errore.

 

Violetta sceglie l’Amore e lo canta con ogni fibra del suo corpo, con ogni straziata porzione della sua anima ferita: “Amami, Alfredo”.. E il cuore degli spettatori in sala, per un attimo, sobbalza.

 

L’allestimento presentato al San Carlo, particolare e di grando impatto, è di Ezio Frigerio, scomparso due anni fa, che scelse di ricreare una tecnica non più in uso, ovvero quella delle scenografie dipinte a mano: effetti tridimensionali realizzati con pennellate di colori, atmosfere a tratti oniriche potentemente realizzate da una pittura che si nutre solo di se stessa. 

 

L’ambientazione è volutamente scarna, essenziale, costituita da soli quattro elementi: un lungo tavolo che viene fatto girare nel primo atto, un tavolo da gioco nel secondo, una dormeuse e una sedia a rotelle nel terzo. 

 

Molto simbolico è poi l’elemento dell’acqua, che in questa rappresentazione de “La Traviata” non abbandona mai la visione della storia, come fosse un diaframma posto a regolare la quantità di luce, e di verità, che deve attraversare gli sguardi: sulla scena, dall’inizio alla fine dello spettacolo, c’è infatti una pioggia che cade veramente, scivolando su un pannello trasparente posto al centro del palco, e che non si ferma mai, dando allo spettatore la sensazione di essere dentro ad una stanza fuori della quale le gocce mai interrompono la propria discesa: un’imponente metafora del tempo inesorabile che passa, della tristezza costante connaturata alla condizione umana. Si avverte così uno stato d’animo perennemente nostalgico, cullato da una dimensione fisica che scandisce anche il tempo interiore. 

 

 

Non si può uscire, non si può fuggire. E Violetta, che rappresenta chi più di tutti avverte l’implacabilità del fato, ha la pioggia nel cuore, sempre. 

 

Nella sua vita, nel bene o nel male, c’è comunque e costantemente un uomo, nel contesto di una società “maschilista” in cui persino Alfredo, ferito nell’orgoglio, non si domanda se possa esserci una spiegazione diversa da quella apparente rispetto alla condotta dell’amata, che subito attribuisce ad un tradimento; la sua colpa, forse, è proprio quella di non avere alcuna incertezza.. e quando, dopo tempo, reincontra Violetta a Parigi la offende nel peggiore dei modi, tradendo per primo, in realtà, quello stesso legame.

 

La musica accompagna lo spettatore, in ogni istante, nell’intrecciarsi di una storia che è prima di tutto emozionale, profondamente simbolica, dolorosamente attuale nei suoi significati più alti: l’Amore, se impedito nella sua essenza, non può che condurci lentamente verso la fine. La malattia diviene allora un semplice strumento nelle mani del Destino, la cui cieca complice è quella società corrotta e conformista a cui sulla scena danno vita gli elementi del coro, spettatori inermi che osservano senza cuore il frantumarsi di un sentimento. E di una vita.

 

Ecco la vacuità di chi non accetta ciò che non comprende, l’ipocrisia di chi si gode il triste spettacolo dell’altrui sofferenza, fingendo di non riuscire a vederla perché ben nascosta, coperta da abiti pomposi e accompagnata da un’aria di festa. La danza delle zingarelle, mirabilmente realizzata da Giancarlo Stiscia – coreografo ed aiuto regista, ci ricorda come la “finzione” sia spesso semplicemente un mezzo, così come la maschera che si indossa un simbolo: i loro movimenti incantano gli sguardi, mentre si apprestano a leggere le stelle rivelando una verità scomoda a molti. 

 

 

 

Allora, è decisamente meglio non credere alla magia. E godersi il ballo che nasce dall’incontro con i Matador, agili, eleganti, pieni di fuoco e dell’energia che serve a restituire meraviglia. Tutto continua a muoversi. 

 

La purezza dell’Amore non basta più, la sua verità non resiste, la sua sostanza è travolta da un tempo incapace di perdonare. E, quindi, di tornare indietro.

 

“Tutto è follia nel mondo ciò che non è piacer”: ogni cosa che con l’Amore non coincida e che l’Amore non rispetti è pura follia, aberrazione, dolore. Infine, anche malattia. Nell’ultimo atto Violetta, ormai sfibrata nel corpo dalla tisi, è in realtà simbolicamente afflitta dal male incurabile dell’aver perso il proprio amato.

 

E quando il padre di Alfredo svela infine al figlio il sacrificio della donna, mai compreso né conosciuto, è troppo tardi perché la sua anima stanca possa guarire.

 

Eppure anche allora, persino allora, l’Amore persegue la propria stessa natura e mai smette di sperare: “La mia salute rifiorirà”, canta Violetta, poco prima di lasciare questo mondo.

 

Sorridente e piena di una gioia che diviene eterna: “Essere amata amando”, quale dono più grande?

 

“La Traviata”

di Giuseppe Verdi

Dal 14 al 30 luglio 2024

 

 


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