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24/11/24 ore

Tra palcoscenico, cinema e televisione: Conversazione con Lara Balbo



di Giulia Anzani

 

È un assolato pomeriggio di marzo, il sole colpisce il terrazzo e indora una parte di casa. Accompagnata da un sottofondo di uccellini cinguettanti, mi trovo in un’atmosfera serena e stimolante per intraprendere la conversazione con Lara Balbo, giovane attrice dalle molteplici esperienze e dalla carriera poliedrica. Attraverso le sfumature della sua voce e la profondità dei suoi racconti, mi faccio trasportare nei momenti salienti del suo percorso formativo e professionale, immergendomi insieme a lei nell’affascinante mondo del teatro e del cinema.

 

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G.A.: Partiamo dal tuo percorso formativo: so che hai studiato all’Act Multimedia (Accademia del Cinema e della Televisione a Cinecittà, nda). Quali sono stati i momenti che ritieni più significativi della tua formazione? In che modo queste esperienze abbiano contribuito a plasmare la tua visione artistica e le tue capacità interpretative? E poi, so che hai lavorato al fianco di nomi illustri: qual è stata la tua più grande fonte di ispirazione nella carriera artistica, sia nel cinema che nel teatro?

 

L.B.: Ho avuto la fortuna di studiare all’Act Multimedia dove ho incontrato un insegnante straordinario: Alvaro Piccardi. Devo quasi tutta la mia formazione a lui. Sebbene fossi partita con l’intenzione di dedicarmi al cinema, è stato grazie a lui che ho scoperto l’amore per il teatro. Gli devo molto perché mi ha fornito tutti gli strumenti per fare questo lavoro. Ho iniziato quindi in ambito prevalentemente teatrale capendo di essere sulla strada giusta per me: ero nel posto giusto, finalmente avevo trovato una forma di espressione che mi poteva esaudire.

 

Una volta uscita dalla scuola, ho avuto la fortuna di iniziare il mio percorso in uno dei teatri più importanti di Roma: il Globe Theatre, con la direzione artistica di Gigi Proietti. Lì ho vissuto momenti straordinari, è un posto che emana un’energia particolare. Ho calcato quel palco a soli vent’anni interpretando un ruolo da protagonista nella regia di Alvaro Piccardi in “Pene d’amor perdute” di William Shakespeare. Inoltre, avere a che fare con una figura così importante come Gigi Proietti per me è stato un incredibile battesimo nel mondo del teatro. Questi sono alcuni dei ricordi più preziosi che conservo dell’inizio della mia carriera. Da lì ho avuto l’opportunità di lavorare con altri registi dell’orbita del Globe come Loredana Scaramella, Massimiliano Bruno, Claudio Bigagli e Matteo Tarasco.

 

G.A.: A proposito dell’esperienza al Globe Theatre, raccontami un po’: com’è stato interpretare ruoli così iconici delle opere di Shakespeare?

 

L.B.: Ho avuto l’opportunità di recitare in “Molto rumore per nulla” diretto da Loredana Scaramella, “La commedia degli errori” e “Romeo e Giulietta”. Stiamo parlando di testi di Shakespeare, spettacoli difficili - la difficoltà dei ruoli è la parte bella - ma comunque “popolari” nel senso che bene o male tutte le sue opere sono conosciute dalle masse. Questa era per me la possibilità di portare al pubblico qualcosa di grande. 

 

Inizialmente è stato faticoso e impegnativo soprattutto perché ero un po’ più giovane di adesso, ma al tempo stesso molto soddisfacente. Con il tempo, poi, il Globe è diventata una famiglia: quando lavori spesso in un posto, si incontrano le stesse persone, si creano legami affettivi; in effetti, il mio attuale compagno l’ho conosciuto proprio grazie a uno di questi spettacoli.

 

G.A.: E collabori ancora col Globe?

 

L.B.: Sì sì, quest’anno siamo stati in tournée con Pippi Calzelunghe il Musical, dalla produzione Politeama. Poi il Globe, soprattutto nella figura di Carlotta Proietti, ha deciso di sostenere il mio nuovo spettacolo Finché mela non ci separi

 

C’è da dire che purtroppo il Globe sta passando un momento delicato: se ricordi 2 anni fa c’è stato il problema che è crollata una scala e tuttora la stagione è in forse. Questa cosa fa molto dispiacere anche perché in quel luogo sono nate cose belle, molto. Speriamo si risolva tutto e speriamo di tornare a lavorarci. 

 


 

G.A.: Sì immagino oltretutto che dopo il lock down non sia stato molto semplice, anche in concomitanza con la morte di Proietti… 

 

L.B.: Sì, è stato un periodo complicato…

Facciamo entrambe un sospiro, ripensando a quel periodo e al grande vuoto che la scomparsa di Gigi Proietti ha lasciato un po’ in tutti noi, e si riparte.

 

G.A.: E invece per quanto riguarda le tue esperienze con cinema e tv, com’è stato passare dal palcoscenico allo schermo? Hai trovato differenze rilevanti nell’approccio alla recitazione? E quali sono state le sfide più grandi nell'interpretare personaggi per il grande e piccolo schermo rispetto al teatro?

 

L.B.: In realtà l’unica differenza sostanziale è la misura attraverso cui si porta in scena qualcosa. Al cinema è necessario essere essenziali: la telecamera raccoglie qualsiasi tipo di informazione il tuo viso porti, a teatro invece… è diverso. Nel senso che è tutto un po’ più “grande”. L’emotività che porti deve arrivare fino all’ultima fila della platea. È una questione prettamente tecnica, in realtà. Alla fine, si tratta comunque di recitazione e la recitazione è una sola e unica, secondo me. Quello che cambia è la gestione degli strumenti: della voce e del corpo. 

 

La distinzione più importante che bisogna aver chiara è che al teatro si tratta di qui e ora. Accade tutto in quel momento: si pensa che uno spettacolo sia fissato, ma in realtà cambia in base alle risposte del pubblico. Il materiale umano che ci guarda ha un’influenza fortissima su di noi.

Comunque è stato molto naturale, poi, approcciare al cinema e devo dire che lo cerco anche molto di più. Facendo questo lavoro, si nota che a cambiare è solo la modalità in cui lo si porta in scena.

 

G.A.: Cioè cambia solo l’approccio materiale, fisico. Il coinvolgimento dell’attore è lo stesso in tutti gli ambiti…

 

L.B.: Beh… sì. Ci si trova a interpretare un ruolo, il processo di studi è lo stesso. Bisogna però saper gestire i propri strumenti in maniera differente. Mi torna in mente la mia prima esperienza cinematografica: ho avuto la fortuna di lavorare al fianco di Paola Cortellesi in “Gli ultimi saranno ultimi”, con Alessandro Gassman e Stefano Fresi dalla regia di Massimo Bruno. Un debutto incredibile, molto emozionante. Ero davvero agitata ma felicissima di lavorare con loro, spalla a spalla con Paola…

 


 

G.A.: Sì, posso immaginare l’emozione! Mentre per quanto riguarda le prossime uscite, so che proprio in questi giorni esce al cinema Il Diavolo è Dragan Cygan opera prima di Emiliano Locatelli con Enzo Salvi e Sebastiano Somma in cui tu interpreti Evelyn, una figura complessa e con un passato turbolento. Come ti sei preparata per questo ruolo?

 

L.B.: È stato difficile perché è molto delicata questa Evelyn. È un personaggio con fragilità enormi e che fa scelte sbagliate, prende strade sbagliate - come quelle della tossicodipendenza e della prostituzione - solo per non dare soddisfazione a un padre con cui è costantemente in conflitto, che non è mai stato presente e che cerca di riscattarsi nel momento che vediamo nel film… ma ormai è tardi. 

È stato complesso perché ho cercato di tenere una certa misura… mi spiego: a me piacciono le cose misurate, non amo né il troppo né il troppo poco. 

 

Riuscire a stare in un personaggio che contiene tutto questo dolore, mantenerlo in una soglia “media”, in una misura accettabile e realistica soprattutto… ecco, questa è stata la sfida più grande. Ho cercato di renderlo il più realistico possibile, mantenendo la sua identità complessissima. Soprattutto perché parliamo di esperienze che lei ha fatto ma che io non conosco in prima persona: questo ha comportato un grande lavoro di fantasia ma anche di studio di quel mondo lì.

 

G.A.: Stavo appunto per chiederti: hai affrontato uno studio di quell’ambiente? Cioè suppongo che una cosa sia immaginarlo, un’altra sia interpretarlo e immergercisi a 360°.

 

L.B.: Esatto. Quando si parla di tematiche così importanti come la tossicodipendenza e la prostituzione, si entra in un mondo delicato. Non è sempre così, ma in questo caso questi disagi vengono da una crepa nell’animo umano, da qualcosa che appartiene al dolore, alla sofferenza. Quello che ho cercato di fare io è stato individuare in Evelyn questa crepa. Da lì è partito il resto.

 

Quello che ammiro tanto negli attori è il riuscire a essere credibili nei momenti di sofferenza e di dolore che portano in scena. Questo è stato il mio obiettivo e la materia di studio principale: individuare questo nodo. Evelyn è una ragazza di ottima famiglia, il padre è molto ricco e lei ha sempre avuto “tutto” dalla vita… dunque ho cercato di capire come vivono i ricchi di famiglia. Quello che mi importava di più trasmettere era questa rabbia che Evelyn ha negli occhi. Mi auguro che il risultato sia stato quello desiderato e sperato…

 

G.A.: Quando lo vedrò ti farò sapere anche io! Mentre per quanto riguarda il tuo spettacolo teatrale a cui già abbiamo accennato prima, so che il tuo testo Finché mela non ci separi, dalla regia di e con Matteo Milani e con te e Federico Tolardo, andrà in scena dal 19 al 23 marzo al Teatro di TorBella Monaca a Roma. A tal proposito: qual è il messaggio che vuoi trasmettere al pubblico attraverso questa storia?

 

L.B.: Lo spettacolo è liberamente ispirato a uno dei più bei testi moderni mai scritti: “Il diario di Adamo ed Eva” di Mark Twain. Il messaggio che voglio portare, forse sembra banale, è l’amore. Un tema più che necessario in questi tempi, secondo me. Parliamo di una relazione d’amore, di quanto sia difficile stare insieme a un’altra persona che, ovviamente, è molto diversa da te. Vogliamo raccontare la diversità non come limite ma come crescita e ricchezza. Viviamo in un’epoca in cui siamo abituati a buttare via le cose che si rompono anziché provare ad aggiustarle. E così facciamo con le persone. Amare è un lavoro impegnativo ma bellissimo. Se ci si mette in discussione, nelle relazioni, si può fare qualcosa di grande, di migliore. 

 

L’essere umano va curato, specialmente l’essere umano che scegliamo di avere accanto - se è qualcosa che desideriamo, naturalmente. Quel che voglio dire è che nel momento in cui decidiamo di stare con un’altra persona, dobbiamo tenere in considerazione che non sarà mai esattamente come vogliamo… ed è proprio questo il bello, nonché la sfida più grande. Le crisi ci sono ma non fanno altro che portare il cambiamento. Io cerco sempre di vederle da un punto di vista positivo. 

 

Nello spettacolo raccontiamo di quest’Adamo e di questa Eva che sono le prime due persone sulla terra e le raccontiamo così, in un mondo in cui sono solo loro due. E potrebbe essere semplice pensare: è chiaro che questi due si sono amati, no? Sono gli unici sulla terra… in realtà è proprio il contrario, hanno possibilità di scegliere. L’amore non è idillio ma una piacevole conquista, un traguardo, una scelta. 

 


 

G.A.: Interessante, davvero… tu ovviamente non puoi vedermi ma ti stavo ascoltando guardando il vuoto. Ero immersa nelle tue parole. È un tema molto affascinante, e concordo sulla sua importanza, visto tutto quello che succede. Sembra non basti mai…

 

L.B.: Esattamente. Poi è molto legata all’oggi. Dobbiamo imparare a educarci alle emozioni. Ad esempio si parla tanto di femminicidio, perché succedono queste cose? C’è una difficoltà enorme, al netto di malattie e di psicosi, a capire come gestire le proprie emozioni, e questo è un problema molto diffuso oggi. Si parte proprio da questo per evitare certe tragedie.

 

G.A.: Sono d’accordissimo con te. L’educazione sentimentale andrebbe impartita fin da bambini. A questo proposito: so che sei - o sei stata? - anche educatrice teatrale. Come concili la tua carriera di attrice con quella di insegnante? Ma soprattutto, qual è l’aspetto più gratificante del lavorare con giovani artisti?

 

L.B.: Tutt’ora sono educatrice teatrale e spero di farlo il più a lungo possibile. Riesco a conciliare i due lavori perché, essendo entrambi nel campo dello spettacolo, c’è molto margine di tolleranza. Nei momenti in cui non riesco, ho una squadra di assistenti che mi aiuta. Riesco e voglio continuare a farlo, perché per me è estremamente importante il teatro nell’educazione. Ho anche scritto una tesi a riguardo, quando mi sono laureata (in Scienze dell’educazione, nda) perché per me è quasi una missione. Io credo veramente che il teatro, fatto in un certo modo, educhi alla bellezza: a conoscere l’empatia e le emozioni, a gestire le relazioni con gli altri…

 

Attraverso il teatro si può capire meglio la realtà, anche dal punto di vista narrativo: il teatro è sempre una visione dettagliata della realtà, una lente d’ingrandimento attraverso cui guardare quello che ci circonda. Il teatro mostra le cose che sfuggono nella vita di tutti i giorni. Si educa al silenzio, a teatro, che è qualcosa che ci manca. Il regista Peter Brook parlava molto della sacralità del teatro e dei suoi silenzi, di quanto sia importante più il silenzio della battuta. È nei silenzi che si generano nuovi spazi, nuove visioni. 

 

Io lavoro soprattutto con gli adolescenti, ho a che fare con loro in quel periodo di così forte crisi e di cambiamenti repentini, che vede la necessità di punti di riferimento. Quell’età è una via di mezzo tra infanzia ed età adulta per cui ancora non si capisce bene chi si è e chi si vuole diventare. Avere dei modelli che aiutino a capire la via da intraprendere è importante e per me è un privilegio lavorare con loro, far parte della loro crescita. Molti di loro sono generosi nel mostrarsi e quando si aprono nei miei confronti è una grande soddisfazione. Capita spesso che, addirittura, tanti testi li capisca meglio insegnandoli piuttosto che studiandoli da sola… il confronto è fondamentale, perché io dò qualcosa ma loro mi restituiscono molto di più, sia dal punto di vista umano che lavorativo. 

 

G.A.: Sicuramente l’adolescenza porta con sé una freschezza e una nuova interpretazione che arricchisce il dialogo. Proprio questo è un tema che mi è molto caro: il confronto generazionale. A questo proposito: noti qualche differenza tra la generazione precedente e quella di ora, anche in campo artistico, teatrale…? Vedi i “ragazzi di oggi” diversi da com’eri tu, da com’erano i tuoi amici?

 

L.B.: Li trovo più grandi, sotto certi punti di vista, rispetto a quel che potevo essere io alla loro età. Però sono anche molto più distratti. 

 

Siamo nell’era dei social e questo mi fa paura… non che fosse meglio non averli, sia chiaro, ma internet prevede una velocità nella lettura delle cose che è controproducente per l’apprendimento, per il teatro. La fretta, assimilare tante informazioni in poco tempo, non permette di elaborarle e assimilarle veramente. È questo quello che noto: c’è distrazione. All’inizio, per farli stare attenti, ho dovuto combattere. Ovviamente dopo un po’ imparano, ma mi rendo conto che hanno bisogno del telefono, è una dipendenza.

 


 

G.A.: Probabilmente anche in quest’ambito servirebbe un’educazione: siamo stati catapultati tutti in questo mondo così diverso, veloce come dicevi tu…

 

L.B.: Sì e non funziona.

 

G.A.: Come se mancasse un tassello per la gestione di tutta questa rapidità, che si palesa anche nel repentino avvicinarci al futuro… e volevo sapere se nel tuo, di futuro, vedi progetti o ruoli che desideri affrontare, ma che ancora non hai avuto l’opportunità di esplorare.

 

L.B.: Sono molto aperta a quel che accade. Ho dei ruoli nel cuore che vorrei affrontare, prima o poi. Mi piacerebbero dei ruoli complessi, che mi mettano nelle condizioni di dover studiare e capire mondi nuovi.

 

G.A.: Da quel che ho potuto capire dalle tue parole, ruoli introspettivi. 

 

L.B.: Sì, mi piace molto lavorare con l’assetto emotivo, mi piace più di ogni altra cosa.

Arriviamo quindi alla fine della nostra conversazione. Dopo esserci salutate mi sento arricchita dal racconto delle sue esperienze e dagli spunti di riflessioni che mi ha offerto. È stato un piacere immergermi nel mondo di Lara, scoprendo una piccola parte dei suoi pensieri sulla recitazione e sulla vita.

 

 


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